Libertà di soggiorno nell’UE di coniugi dello stesso sesso

Lo afferma l’Avvocato Generale presso la Corte di Giustizia dell’UE nelle conclusioni relative alla causa C-673/16 dell’11.01.2018. Un cittadino rumeno e un cittadino statunitense, dopo aver convissuto per 4 anni negli USA, si trasferiscono a Bruxelles nel 2010 dove sono uniti in matrimonio. Nel 2012 la coppia – trasferitasi in Romania – chiede alle autorità rumene il rilascio dei documenti necessari affinché il coniuge potesse lavorare e soggiornare in modo permanente in Romania, in base alla direttiva 2004/38/CE che stabilisce la libera circolazione dei cittadini UE e dei loro familiari di circolare e soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri. Rifiutato il diritto di soggiorno da parte delle autorità rumene, dato che lo Stato rumeno non riconosce i matrimoni omosessuali, i due coniugi hanno proposto ricorso alla Corte Costituzionale rumena che ha chiesto alla CdG se al cittadino statunitense, in qualità di coniuge di un cittadino UE, debba essere concesso un diritto di soggiorno permanente in Romania.

Nelle sue conclusioni l’Avvocato Generale precisa che la problematica giuridica non riguarda la legalizzazione del matrimonio tra persone dello stesso sesso, bensì la libera di circolazione dei cittadini UE, che va riconosciuta anche se nel proprio ordinamento giuridico interno non è previsto il matrimonio tra omosessuali. Inoltre, l’Avvocato stabilisce che la direttiva richiamata, quella sulla libertà di circolazione, non prevede alcun rinvio al diritto degli Stati membri per la determinazione della qualità di “coniuge”, di conseguenza “tale nozione deve essere oggetto, nell’intera UE, di un’interpretazione autonoma e uniforme- osservando l’Avvocato Generale – che la nozione di “coniuge si riferisce ad un rapporto fondato sul matrimonio, sebbene sia neutra rispetto al sesso delle persone e indifferente al luogo in cui il matrimonio è stato contratto”.

Si tratta, ovviamente, di una interpretazione della norma europea da parte dell’Avvocato Generale, sulla quale si dovrà pronunciare la CdG ma, quando essa fosse confermata, ebbene non è difficile che solleverà di sicuro l’opposizione di quei paesi membri, soprattuto dell’Europa centrale, che ritengono di disapplicare la norma rispetto al loro ordinamento interno in nome della difesa dei loro principi religiosi senza parlare dei paesi dove l’omosessualità viene combattuta, o addirittura considerata un reato. E’ un segnale questo della discriminazione sessuale su cui meditare perché essa non cancelli quei diritti civili oggi riconosciuti dopo numerose battaglie contro ogni discriminazione sessuale, religiosa e sociale.

Fonte

D&G 17.1.2018

(Nota a cura avv. E. Oropallo)