La Suprema Corte di Cassazione detta le regole per procedere validamente in assenza

La Suprema Corte di Cassazione nel suo massimo Consesso ha appena depositato la motivazione della sentenza resa lo scorso mese di novembre 2019 in ordine alla possibilità di procedere in assenza dell’imputato dettando il valore normativo della situazioni previste dall’art. 420-bis c.p.p. in modo conforme a Costituzione e Convenzione EDU, sentenza resa in procedimento precedete alla modifica dell’art. 162 c.p.p. che introduce la necessità di acquisire il consenso del difensore di ufficio per la elezione del domicilio nel suo studio, norma che rafforza i dicta della Corte.

La vicenda prende le mosse da una indagine per immigrazione clandestina in cui nei confronti di un presunto ‘scafista’ era stato redatto verbale di identificazione ed elezione di domicilio presso il difensore di ufficio (ante riforma del 2017) verbale redatto prima dell’iscrizione della persona nel registro ex art. 335 c.p.p. soggetto poi dichiarato latitante a seguito di emissione di ordinanza di custodia cautelare.

La Corte di Assise di Genova ha ritenuto corrette le notificazioni effettuate presso il domicilio del difensore e condannato alla pena di giustizia, diversamente la Corte di Assise di appello di ufficio ha annullato la sentenza ritendo che non risultasse che l’imputato avesse mai avuto una conoscenza effettiva del procedimento ovvero si fosse volontariamente sottratto allo stesso.

Presentava ricorso il PG di Genova avverso la sentenza di annullamento ma il PG della Cassazione concludeva per il rigetto del ricorso condividente la motivazione del giudice di appello.

La Suprema Corte ripercorreva la pronunce oggetto di contrasto e procedeva ad una ricognizione della successione normativa dalla emanazione del nuovo c.p.p. alla riforma del 2005 alla introduzione del processo in assenza nel 2014.

Procedeva poi alla ricognizione della giurisprudenza della Corte EDU a partire dalla pronuncia del 12/2/1985 cui si era ispirata la normativa del nuovo c.p.p. nel caso Colozza contro Italia – v. pagg. 8 segg. motivazione.

In definitiva, la Suprema Corte riteneva che in alcun modo gli indici indicati nell’art. 420-bis c.p.p. possano mai essere qualificati come presunzioni legali ed di seguito:

  • Elezione o dichiarazione del domicilio
  • Sottoposizione a misura precautelare o cautelare
  • Nomina del difensore di fiducia

Considerare che la presenza di uno di questi indici possa comportare un presunzione legale di conoscenza del procedimento che legittima il procedimento in assenza riporterebbe l’imputato ad una situazione deteriore a quella vigente nel 2005 in contrasto con l’espressa volontà del legislatore anche del 2014.

Non valgono di per sé a dimostrare in alcun modo la volontaria sottrazione dell’imputato alla conoscenza del procedimento.

La Suprema Corte in modo molto elegante fa riferimento a prassi di polizia che specialmente nei confronti di soggetti stranieri fanno ampio ricorso alla elezione del domicilio presso lo studio del difensore magari di ufficio.

Come pure anche in caso di nomina di un difensore di fiducia, che potrebbe essere solo apparente, occorre indagare se si è veramente instaurato un rapporto professionale ovvero detto difensore ha immediatamente comunicato la mancata accettazione del mandato (cosa a mio avviso altamente consigliabile a tutela prima del soggetto sottoposto a indagine ma anche per eventuali responsabilità professionali e disciplinari del difensore).

Non ha rilevanza decisiva neppure la dichiarazione di latitanza che potrebbe essere formale.

In buona sostanza gli indici sopra ricordati facilitano l’attività del giudice pur appunto non potendo mai essere considerate presunzioni legali di conoscenza quindi occorre la certezza che la vocatio in iudicium sia stata portata alla conoscenza dell’imputato ovvero che questi si è volontariamente sottratto alla conoscenza del processo ma distinguendo bene questa situazione che legittima di procedere in assenza, dalla semplice mancata diligenza informativa (v. pagg. 28-29 motivazione) che invece impone la sospensione del processo.

La sentenza resa in violazione di dette norme può essere annullata anche di ufficio in assenza di specifica impugnazione sul punto da parte del difensore.

Una sentenza insomma da accogliere con viva soddisfazione anche perché l’ordinanza di remissione della Prima Sezione Penale sembrava propendere per l’orientamento opposto.

Concludo affermando che a mio giudizio con la introduzione dell’art. 162, comma 4-bis c.p.p. il difensore di ufficio non dovrebbe mai prestare l’assenso alla elezione del domicilio nel proprio studio se non in casi particolari che starà a lui valutare con cura, come pure in caso di comunicazione di nomine fiduciarie con elezione di domicilio nello studio da parte di soggetti sconosciuti è altamente raccomandabile provvedere il prima possibile a comunicare la non accettazione del mandato e la non accettazione delle elezione del domicilio (vanno fatto entrambe le dichiarazioni).

Cari saluti a Tutti,

Filippo Poggi