La sentenza della discordia

La sentenza della Terza Sezione Penale ha suscitato un ampio dibattito e quasi scandalo siccome interpretata come un outing della Suprema  Corte in tema di (non) parità delle parti processuali di fronte al giudice terzo.

Può darsi ma osserviamo la motivazione della sentenza.

Si tratta di un banale caso di abuso edilizio in cui è stato completamente disatteso il permesso a costruire con distruzione completa del precedente manufatto, ricostruzione con caratteristiche diverse di un altro edificio peraltro di dimensioni più elevate del vecchio manufatto rurale.

In buona sostanza violazioni di tale portata che neppure avrebbero richiesto una consulenza del PM bastando la testimonianza della polizia giudiziaria, come sembra di intendere nelle ultime righe della motivazione.

Mi pare che quindi la conclusione della Suprema Corte in punto di conferma della sentenza impugnata sia assolutamente condivisibile nel merito della legalità della decisione.

Poi si inizia inutilmente, questo davvero secca, a sproloquiare sul processo accusatorio sub specie graduatoria della portata delle affermazioni dei vari consulenti.

Senza nemmeno usare un linguaggio tecnicamente corretto: l’ausiliario del PM diventa perito o consulente a righe alterne, la perizia del giudice sembra solo quella dibattimentale ed altre varie sciatterie.

In un vecchio convegno un bravo avvocato romano ci invitava a ricordarci che l’avvocato si porta sempre appresso “la puzza” del suo cliente. Si deve essere estesa al consulente della difesa.

Eppure quella affermazione forse anche un poco disincantata non l’ho mai trovata impropria o offensiva per la nostra Professione: fa parte di quella alleanza e di quella empatia che si deve necessariamente instaurare tra difensore ed il proprio assistito.

Non vorrei esagerare ma mi sembra questo, puzza compresa, un grande privilegio dell’Avvocatura rispetto alla altre Funzioni Forensi.

Quanto alle tralaticie e anche po’ scomposte motivazioni della sentenza in questione forse occorre stendere un velo pietoso per carità di Patria su una motivazione davvero infelice, nella tranquilla convinzione che il giudice in casi diversi da questo, valuterebbe i consulenti delle parti per la persuasività delle loro affermazioni e la solidità della loro preparazione scientifica.

Tra l’altro il consulente e neppure il PM stesso esercitano funzioni giurisdizionali, ma giudiziarie semmai (v. art. 357 c.p.), il che, se ne converrà, è leggermente diverso.

Sulle indagini in favore dell’imputato forse è meglio trincerarsi dietro un prudente no comment.

Filippo Poggi