La locazione stipulata non in forma scritta

Nel caso in cui l’adozione della forma verbale sia stata liberamente concordata dalle parti, il locatore può chiedere il rilascio dell’immobile, occupato senza alcun titolo, mentre il conduttore può solo chiedere la restituzione parziale delle somme eccedenti, rispetto al canone concordato. Questo è il principio affermato dalla Corte Suprema di Cassazione, Terza Sezione Civile, con l’ordinanza n. 5794/19, depositata il 28 febbraio.

Il principio richiamato dalla Corte di Cassazione è quello già affermato, con una precedente pronuncia delle Sezioni Unite (sentenza n. 18214/05), nella quale si afferma che il contratto di locazione ad uso abitativo, stipulato non in forma scritta, debba considerarsi affetto da nullità assoluta, secondo la previsione dell’art. 1 l. n. 431/1998 e che essa sia rilevabile sia su impulso di parte che d’ufficio, dal giudice.
La Corte di Cassazione distingue fra due ipotesi: quella in cui l’adozione della forma verbale sia stata liberamente concordata dalle parti, nel qual caso, inevitabilmente, il contratto è da ritenersi nullo e quella in cui la scelta di instaurare un rapporto di fatto e quindi abusivo, sia riconducibile alla volontà del solo locatore, che l’ha perseguita con la coercizione o l’inganno del conduttore.

In quest’ultimo caso il conduttore potrà scegliere fra la riconduzione del contratto alle condizioni conformi a quanto previsto dagli accordi di categoria e la restituzione di quanto pagato in eccesso, rispetto alle somme effettivamente dovute, in forza dei suddetti accordi.

Nel caso in cui la forma verbale sia stata adottata di comune accordo, invece, troveranno applicazione i principi generali in tema di nullità.
Il locatore potrà agire in giudizio per ottenere il rilascio dell’immobile, occupato senza alcun titolo, mentre il conduttore potrà solo chiedere la restituzione parziale delle somme eccedenti, rispetto al canone concordato.

Fonte D&G

Marzo 2019

Nota a cura avv. E. Oropallo