Conferma della mediazione obbligatoria

Con un emendamento all’art. 53 del DDL Concorrenza il Governo, tramite il Ministro dello Sviluppo Economico, ha proposto di rendere permanente l’obbligatorietà del tentativo di mediazione- così come previsto dall’art. 5 d.lgs. n. 28/2010 nelle materie previste dal suddetto articolo, visti gli attuali risultati ottenuti dalla mediazione nel periodo di sperimentazione. Dai dati statistici elaborati dal Ministero della Giustizia – relativi alle pendenze dei procedimenti civili- si rileva, per l’anno 2015, una contrazione del 9,5 per cento rispetto all’anno precedente, da porsi, almeno in parte, in correlazione all’entrata a regime della disciplina dell’obbligatorietà del tentativo di mediazione. In realtà, pur a tener conto di questi dati, le mediazioni obbligatorie iscritte di cui all’art. 5 sono state, nel 2015, 151.469 che nel 43% dei casi si sono risolte con esito positivo evitando in tal modo di instaurare il contenzioso giudiziario. Dunque, 65.131 casi si sono risolti nella fase di mediazione. Non credo che questi risultati possono interpretarsi come un dato positivo, come si esprime il Governo. Certo, il passaggio da un sistema giudiziario rigido ad un sistema più elastico, più dinamico sarebbe auspicabile nella misura in cui al mediatore fosse dato il potere di decidere i casi anche senza l’accordo delle parti. Laddove, invece, la fase di mediazione risulta essere una fase di transito per accedere alla giustizia, ebbene essa viene vista da molti operatori di giustizia ed in particolare dagli avvocati solo come una condizione imposta dal legislatore per scoraggiare il ricorso alla giustizia più che un reale strumento di deflazione del carico giudiziario. Se vi è stata complessivamente una flessione del carico giudiziario nel 2015, esso è dovuto in larga parte ai sistemi che si è inventato il legislatore per bloccare un eccessivo afflusso del cittadino al suo giudice naturale. E ci riferiamo principalmente al doppio sbarramento inserito per l’appello civile (art. 342 e 348 bis cpc) e alla riforma della l. 89/2001 che ha disposto una pesante sanzione a carico del cittadino nel caso in cui il ricorso di appello appaia non giuridicamente fondato. Si tratta di una misura, sproporzionata e soprattutto a rischio di incostituzionalità, visto che una identica sanzione non sia posta a carico dello Stato. E’ chiaro che l’intento del Governo è quello di estendere il tentativo obbligatorio di mediazione anche a quelle materie che per il momento sono escluse dall’obbligatorietà. Se questo avvenisse, non è escluso che l’effetto paralizzante sarebbe di scarsa valenza così come è avvenuto quando è stato riformato l’appello civile per cui è aumentato il numero di ricorsi in Cassazione.               E’ l’effetto analogo a quello fisico dei vasi comunicanti: la soluzione più radicale sarebbe quella di eliminare il grado di appello, destinando nel contempo maggiori risorse, umane e tecniche, al sistema giudiziario con una maggiore e più accorta organizzazione delle sedi giudiziarie e facendo rientrare nei ruoli quei magistrati che sono stati prestati all’apparato ministeriale, svolgendo un ruolo certamente non istituzionale.

Fonte D & G 19.3.2017

Nota a cura avv. E. Oropallo