Condanna in appello senza possibilità di risentire il dichiarante decisivo – una sentenza che non persuade

La sentenza delle Sezioni Unite, estensore dell’eccellente Consigliere Fidelbo non convince.

Innanzitutto è molto forte la sensazione di leggere una sentenza di merito invece che di legittimità data la notevole intrusione della Corte negli atti di causa quasi per dare una valutazione propria della dichiarante deceduta.

In secondo luogo risulta che la dichiarante coimputata sia deceduta in data 4.02.2019 (mentre si trovava in detenzione domiciliare per incompatibilità con la detenzione) dopo una lunga e gravissima malattia oncologica, il che avrebbe dovuto obbligare il PG di Bologna a richiedere alla Corte l’attivazione dei poteri ex art. 467 c.p.p. per l’assunzione di atti urgenti rappresentati dall’audizione in contraddittorio della Sanchi (la sentenza di appello è stata pronunciata in data 20.03.2019), in considerazione del fatto che il primo annullamento era avvenuto proprio perché la Corte felsinea, obliterando il principio della sentenza Dasgupta, aveva ribaltato la sentenza di assoluzione senza procedere a nuovo esame della Sanchi.

Oltre a non convincere la sentenza preoccupa per i principi di diritto affermati: se è vero che il decesso del dichiarante è circostanza obiettiva di immediato riscontro, la possibilità di ribaltare la sentenza in appello viene considerata anche quando il dichiarante sia irreperibile o infermo, circostanze sulle quali la giurisprudenza in generale pare piuttosto lasca e orientata a riconoscere questi presupposti con larghezza, senza esigere ricerche davvero approfondite e per infermità che probabilmente consentirebbero l’esame dibattimentale.

Infine una nota su quello che pare un obiter dictum sulle mancata concessione delle generiche: la Suprema Corte avalla il giudizio di appello che ha negato le generiche in considerazione di un crimine feroce e su questo si potrebbe senz’altro convenire, però al in motivazione la Corte aggiunge che il comportamento dell’imputato è stato “ambiguo e reticente” il che comporta una mancanza di lealtà processuale che può essere sanzionata con il diniego delle generiche.

Tale affermazione si legge dopo la premessa che l’imputato ha il diritto di non rispondere ovviamente ma anche quello di mentire per difendersi con il solo limite della calunnia. Insomma di dovrebbe prendere atto una buona volta che l’imputato in un sistema penale di stampo liberale l’imputato ha il pieno diritto di cercare in ogni modo di “farla franca” nel rispetto dei limiti del codice penale e che non vi sono questioni di lealtà processuale in questo campo che possano portare inasprimenti sanzionatori, tanto più che si legge nella sentenza che l’imputato aveva nel processo confessato il concorso nella soppressione del cadavere, punto sul quale la sentenza era già divenuta irrevocabile.

Insomma la lettura di tutta la motivazione e dello sviluppo processuale lascia l’amara sensazione che vi sia stata una condanna all’ergastolo pronunciata senza il rispetto pieno della regola di giudizio dell’oltre ogni ragionevole dubbio.

Filippo Poggi