Il Comitato ONU sui diritti del fanciullo, richiama l’Italia sulla situazione dei minori migranti

Il Comitato che si occupa di monitorare l’applicazione della Convenzione di New York, ratificata dall’Italia con legge 27 maggio 1991 n. 176 critica, in primo piano, le misure adottate dall’Italia in materia di immigrazione che portano a un arretramento della tutela dei minori stranieri accompagnati e non. In particolare, il Comitato ha chiesto a Roma di intervenire per far sì che la legge n. 132/2018 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 4 ottobre 2018, n. 113, cd. Decreto Salvini) sia modificata nel senso di inserire disposizioni volte a escludere dal perimetro di applicazione della legge i minori non accompagnati e separati dai genitori, prevedendo, tra l’altro, anche agevolazioni per l’accesso al sistema di asilo a vantaggio dei minori. Inoltre, devono essere accolti in strutture adeguate. Lo Stato deve facilitare il ricongiungimento familiare e prevedere un meccanismo che permetta il passaggio da situazioni di irregolarità a uno status regolare.

Malgrado l’avvenuta ratifica della Convenzione – osserva il Comitato – che persistono ritardi nell’emanazione dei decreti attuativi funzionali ad assicurarne l’effettiva applicazione. Non mancano, altresì, preoccupazioni per alcuni ambiti. Tra gli interventi immediati, l’eliminazione dal codice civile di tutte le eccezioni che permettono il matrimonio a minori di 18 anni. Non solo. Ad avviso del Comitato, l’Italia deve intervenire immediatamente per garantire una rapida assegnazione di risorse necessarie a impedire che i minori si trovino in una situazione di povertà e subiscano i continui effetti negativi delle misure di austerity e per assicurare l’applicazione concreta del principio di non discriminazione. E questo anche tra le diverse regioni italiane. Da garantire, inoltre, l’educazione e la tutela di minori richiedenti asilo o rifugiati, nonché in generale misure di supporto per i minori migranti.

Tra gli interventi da predisporre, anche misure in materia di cittadinanza al fine di impedire situazioni di apolidia di minori e la ratifica della Convenzione europea sulla cittadinanza del 1997. Ancora una volta, poi, il Comitato chiede all’Italia l’adozione di una legge che vieti esplicitamente il ricorso a forme di punizione corporale, anche se considerate lievi.

Per il Comitato, inoltre, è necessaria l’istituzione di una commissione di inchiesta che esamini tutti i casi di abusi sessuali commessi da preti nei confronti di minori. 

Questo è quanto scrive la prof. Castellaneta sul suo blog.

Una richiesta, quella del Comitato ONU, che conferma, purtroppo ancora una volta, una costante violazione da parte dell’Italia della Convenzione posta a difesa dei minori, anche se, sul piano della propaganda spicciola, questo governo assicura di avere a cura le esigenze dei minori, soprattutto in materia di abusi.

Maggio 2019

Fonte: www.marinacastellaneta.it

Nota a cura

Avv. E. Oropallo

Dura condanna dell’Italia da parte della corte EDU per violenza contro le donne

Con la sentenza del 2 marzo 2017 (ricorso n. 41237/14, AFFAIRE TALPIS c. ITALIE), la Corte europea dei diritti dell’uomo ha inflitto una dura condanna all’Italia.

A rivolgersi a Strasburgo, una donna che nel corso degli anni era stata vittima della violenza del marito. A settembre 2012 la donna aveva presentato una denuncia per violenza e chiesto un intervento delle autorità ma, successivamente, aveva attenuato le accuse. L’anno dopo, nuova denuncia, con una lite tra la donna e l’uomo culminata con l’uccisione del figlio, che aveva cercato di difendere la madre, da parte del marito, condannato all’ergastolo, in un procedimento con rito abbreviato, condanna confermata in appello.

Per la Corte europea, le autorità nazionali non hanno fornito un adeguato supporto alla vittima di violenza domestica, costringendo la ricorrente a vivere in una situazione di grande insicurezza e vulnerabilità fisica e psichica.

Evidente così il mancato rispetto dell’articolo 2 che impone agli Stati obblighi positivi e, l’adozione di misure necessarie alla protezione degli individui che, invece, nel caso di specie, non erano state adottate. La Corte, inoltre, ricorda la gravità della piaga della violenza contro le donne in Italia.

Basti pensare – osserva Strasburgo – al rapporto del Comitato Onu per l’eliminazione delle discriminazioni verso le donne, con il quale è stato chiesto al Governo di “attuare misure complete per affrontare la violenza contro le donne” e un’adeguata protezione a coloro che subiscono violenza.

La Corte ha posto l’accento sulla gravità e sull’ampiezza del fenomeno drammatico della violenza domestica nei confronti delle donne, aggravata “da un’attitudine socioculturale di tolleranza” che continua a persistere. Accertate le gravi violazioni della Convenzione da parte dell’Italia, i giudici hanno concesso alla donna trenta mila euro per i danni morali subiti e dieci mila per le spese sostenute.

Maggio 2019

Fonte

www.marinacastellaneta.it

Nota a cura

Avv. E. Oropallo

Il divieto di autodifesa dell’avvocato nei processi penali è compatibile con il principio dell’equo processo

È quanto sancito dalla Grande Camera, Corte EDU, caso Correia de Matos c. Portogallo (ric. 56402/12) del 4 aprile 2018.

Il caso. Protagonista della vicenda è un avvocato e revisore dei conti che fu sospeso dall’albo dal 1993 al 2016, perché per le leggi interne le due professioni sono incompatibili e gli fu vietato l’esercizio forense pena una sanzione disciplinare. Vane le richieste di autodifendersi e le proteste contro l’imposto difensore d’ufficio: la legge e la prassi portoghesi, anche della Consulta, sono chiare nel vietare l’autodifesa nei processi penali. La CEDU già nel 2001 aveva rigettato un suo analogo ricorso perché manifestamente infondato.

È stato di diverso avviso il Comitato per i diritti umani dell’ONU che nella Raccomandazione n.1123/02 e nel Commento generale n. 32/07 ha evidenziato come, in base all’art.14 §.3 (equo processo, assistenza tecnica e parità delle armi) del Patto internazionale sui diritti civili e politici, il diritto all’autodifesa sia una pietra miliare della giustizia, perciò non soggetto a restrizioni. L’imposizione di un avvocato d’ufficio, in base alla legge interna, è sproporzionata e va oltre quanto necessario in una società democratica. S’invitò – invano – il Portogallo a rivedere tale divieto. Nel decidere il caso la Corte EDU ha tenuto conto del quadro giuridico internazionale.  Il regolamento interno della Corte penale internazionale consente all’imputato di difendersi da solo.

Il diritto all’equo processo è sancito dall’art. 47 Carta di Nizza, speculare all’art. 6 Cedu. La Direttiva 2013/48 / UE (diritto di avvalersi di un difensore nei processi penali, nei procedimenti relativi al MAE etc.): impone l’assistenza tecnica da parte di un legale di fiducia o d’ufficio, cui l’imputato può rinunciare espressamente ex artt. 3 e 9.

A livello di diritto comparato la maggior parte degli Stati del COE (Council of Europe ndr.) consente l’autodifesa dell’imputato anche se, nella maggior parte dei casi, questa facoltà può essere soggetta a restrizioni in base al grado di giurisdizione, alla complessità del caso, alla gravità dell’accusa e alla capacità dell’imputato di sapersi difendere da solo.

L’avvocato può difendere chiunque, meno che se stesso. Il diritto all’autodifesa non è assoluto e può dunque essere limitato dal legislatore nazionale cui è riconosciuto un ampio margine discrezionale di adottare misure ed emanare disposizioni concernenti l’onere della difesa tecnica per assicurare una buona amministrazione della giustizia e l’esercizio dei diritti alla difesa, tra cui quello di avere una difesa efficace ed effettiva, oltre a quello della parità delle armi.
In breve, pur non essendoci uniformità sul punto a livello di diritto comparato, sono questi i principi cardine cui deve essere ispirata l’azione del Legislatore e della CEDU in materia: l’imputato deve avere la possibilità di presiedere alle udienze, rilasciare libere dichiarazioni, presentare memorie, essere difeso da un avvocato di fiducia o d’ufficio e, se non può permetterselo, deve poter accedere al gratuito patrocinio.

Alla luce di ciò la CEDU ha ritenuto sufficienti e pertinenti le ragioni del contestato divieto, anche se alcuni giudici, facendo parte della Corte, hanno dichiarato il loro dissenso. A nostro avviso, anche se il nostro ordinamento dispone l’obbligo della difesa tecnica, quando l’imputato risulta essere un avvocato, non gli si può negare di avere le conoscenze giuste per difendersi da solo per cui la vicenda potrebbe essere ridiscussa successivamente.

Nel nostro passato non lontano, si sono avuti dei casi in cui gli imputati hanno rifiutato il difensore d’ufficio che la Corte aveva assegnato chiedendo di difendersi da soli. Richiesta che venne respinta dalla Corte che, anche in quel caso, ribadì il principio che l’imputato non può rinunciare alla difesa tecnica, pur in presenza di un rifiuto espresso.

Si trattava certo di un caso diverso, isolato ma che potrebbe riaprire la discusione sull’argomento, anche perché – come abbiamo visto – il regolamento della Corte penale internazionale consente all’imputato di difendersi da solo, come anche riconosciuto dalle disposizioni ONU e, dunque, non è detta l’ultima parola su questa vicenda.

Maggio 2019

Fonte: D&G

Commento a cura

Avv. E. Oropallo

Revoca o rifiuto dello status di rifugiato

Alcuni cittadini extracomunitari – titolari già dello status di rifugiato o che ne avevano fatto richiesta – si son visti i primi revocare lo status, i secondi, negare il riconoscimento del medesimo sulla base delle disposizioni della direttiva 201/95/UE che consentono l’adozione di misure del genere quando le persone rappresentano una minaccia per la sicurezza o, essendo state condannate per un reato particolarmente grave, per la Comunità dello Stato membro ospitante.

Gli interessati hanno contestato il provvedimento innanzi l’AG competente che ha rimesso alla Corte di Giustizia di stabilire se tali disposizioni fossero non conformi alle disposizioni della Convenzione di Ginevra del 12 dicembre 2013 relativa allo status di rifugiati.

La Corte ha riconosciuto che “anche se la direttiva stabilisca un sistema di protezione dei rifugiati specifico dell’UE, essa è fondata nondimeno sulla Convenzione di Ginevra e mira a garantirne il pieno rispetto”.

In effetti, scrive la Corte, “la revoca dello status di rifugiato o il diniego del riconoscimento – disposte dalla direttiva UE (ndr.) – non hanno l’effetto di far perdere lo status di rifugiato ad una persona che abbia un timore fondato di essere perseguitata nel suo paese d’origine” in quanto continua a godere di un certo munero di diritti della Convenzione di Ginevra “ai quali la direttiva fa espresso riferimento nonché dei diritti previsti da tale convenzione il cui godimento esige non una residenza regolare, bensì la semplice presenza fisica del rifugiato nel territorio dello Stato ospitante” concludendo che “le disposizioni in questione sono conformi alla Convenzione di Ginevra ed alle norme della Corte del TFUE che impongono il rispetto di tale convenzione”.

(CGUE – sentenza del 14.5.2019 cause riunite c. 8209; 391/16; 77/16 e l. 78/17).

Fonte D &G

Maggio 2019

Nota a cura

Avv. E. Oropallo

Niente pensione di reversibilità in assenza di assegno di divorzio

Lo sostiene la Corte di Cassazione nell’ordinanza 11129/19, depositata il 19 aprile.

La fattispecie. Una vedova faceva domanda per ottenere la pensione di reversibilità a seguito della morte del marito da cui aveva divorziato. La donna, infatti, sosteneva di essere titolare di un assegno di mantenimento, riconosciutole dal Tribunale in sede di giudizio di separazione.

Il Tribunale di Roma respingeva la domanda in quanto l’assegno previsto in sede di separazione, di natura alimentare e fondato sul presupposto della permanenza del vincolo coniugale, non poteva rivivere una volta dichiarata la cessazione degli effetti del matrimonio; inoltre, difettando dunque, in capo alla ricorrente la titolarità di un assegno di divorzio.

Tale decisione veniva confermata anche in Appello e dai Giudici di legittimità.

La Suprema Corte ammette che il coniuge rispetto al quale sia stata pronunciata la sentenza di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio e che non sia passato a nuove nozze, può vantare il diritto, in caso di morte dell’ex coniuge, all’attribuzione della pensione di reversibilità o di una quota di questa.

Gli stessi Ermellini aggiungono, però, che il riconoscimento di questo diritto in caso di concorso con altro coniuge superstite, presuppone che il richiedente, al momento della morte dell’ex coniuge, risulti titolare di assegno di divorzio giudizialmente riconosciuto dal Tribunale.

Data la mancanza di un assegno divorzile in favore della vedova a carico dell’ex coniuge, la domanda deve essere rigettata.

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D&G

Maggio 2019

Nota a cura avv. E. Oropallo

Sottrazione internazionale del minore

In caso di sottrazione internazionale del minore, se c’è il rischio fondato di pericoli fisici o psichici per il minore e se quest’ultimo ha anche espresso una volontà contraria al rientro, i giudici nazionali non sono tenuti a disporre il rimpatrio del minore ritenuto sottratto. La Corte di Cassazione, prima sezione civile, si è pronunciata con ordinanza n. 9767/19 dell’8 aprile, respingendo il ricorso di una madre che chiedeva il rientro in Germania della propria figlia. 

Per la Suprema Corte, che ha ritenuto infondato il ricorso, non si è verificata alcuna violazione della Convenzione dell’Aja sugli aspetti civili della sottrazione internazionale di minori del 25 ottobre 1980, ratificata dall’Italia con legge n. 64/1994, confermando una giurisprudenza costante che ritiene prevalente il diritto del minore rispettando nel caso di specie la sua opinione di voler restare in Italia.

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Maggio 2019

Nota a cura avv. E. Oropallo

Entra in vigore il regolamento ue sul controllo degli investimenti esteri

E’ entrato in vigore, il 10 aprile 2019, il regolamento n. 2019/452 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 marzo 2019, che istituisce un quadro per il controllo degli investimenti esteri diretti nell’Unione.

L’obiettivo è la difesa degli interessi strategici dell’Unione europea attraverso un sistema di controllo sulle acquisizioni di attività strategiche europee da parte di società extra Ue, tenendo conto che l’Unione europea è la principale destinataria mondiale degli investimenti esteri diretti. Tra gli altri obblighi, gli Stati sono tenuti a notificare alla Commissione europea, entro il 10 maggio 2019,  i meccanismi nazionali di controllo già predisposti. Sono 14 i Paesi membri già dotati di meccanismi di questo genere, ma – osserva la Commissione – anche gli altri Stati stanno procedendo all’adozione di sistemi di controllo. Il regolamento sarà pienamente applicabile dall’11 ottobre 2020.

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Aprile 2019

Necessario motivare la mancata audizione del minore infradodicenne

Interessante sentenza della Corte di Cassazione che ha ribadito l’obbligo del Giudice – già contemplato dalla Convenzione di New York sui diritti del fanciullo – di sentire il minore nelle procedure giudiziarie che lo riguardano o di motivare la sua mancata audizione.

Il caso. Nel 2017, il Tribunale di Vicenza, con decreto emesso ai sensi dell’art. 337-bis c.c., accogliendo parzialmente le istanze di una madre, nei confronti dell’altro genitore, disponeva l’affidamento condiviso dei due figli minorenni, con collocazione prevalente presso l’abitazione materna.

Il Tribunale accoglieva anche l’istanza materna di iscrizione di un figlio, infradodicenne, presso la scuola secondaria del Comune di residenza, più vicina all’abitazione della madre. L’uomo proponeva reclamo alla Corte d’Appello di Vicenza, la quale, con decreto, lo rigettava. Avverso il decreto della Corte territoriale l’uomo proponeva ricorso per Cassazione, ai sensi dell’art. 111 Cost. – stante la decisorietà e definitività del provvedimento.

Motivi di impugnazione. Con il primo motivo il ricorrente lamentava l’omessa audizione del figlio minore in merito alla scelta della scuola media da frequentare. Per l’uomo la Corte d’Appello aveva disatteso l’istanza di audizione diretta del minore, senza fornire spiegazione di tale decisione.

Con il secondo motivo il ricorrente si doleva del fatto che la Corte non avesse fornito motivazione sulla mancata audizione del figlio – trattandosi, invece, di un punto decisivo -, in relazione alla scelta della scuola, da valutarsi nell’interesse del minore.

Con il terzo motivo censurava il decreto impugnato per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, con riferimento alla scelta della scuola media da frequentare da parte del minore.

Osservazioni della Corte. I Supremi Giudici, dopo aver rigettato la eccezione sollevata nel controricorso di inammissibilità del ricorso, essendo il decreto emesso dalla Corte d’Appello in sede di reclamo perché ha carattere decisorio e definitivo ed è, pertanto, ricorribile in Cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost..
La Suprema Corte esamina poi congiuntamente i primi tre motivi di ricorso, ritenendoli connessi e li reputa fondati.

L’ascolto del minore di almeno dodici anni e anche di età inferiore, purchè dotato di capacità di discernimento, costituisce una modalità, tra le più rilevanti, di riconoscimento del suo diritto fondamentale ad essere informato e ad esprimere le proprie opinioni nei procedimenti che lo riguardano.

Ad avviso dei Supremi Giudici, la motivazione del giudice – che decide di non disporre l’ascolto – deve essere tanto più stringente quanto più il minore si avvicina all’età dei 12 anni, oltre la quale subentra l’obbligo legale dell’ascolto.

Nel decreto impugnato, invece, manca la motivazione giustificativa dell’omessa audizione diretta del minore, né sono esplicitate le ragioni per le quali è ritenuto superfluo l’ascolto diretto o contrario all’interesse del minore o le motivazioni di incapacità di discernimento dello stesso.

I Giudici della Prima Sezione civile della Corte di Cassazione, con l’ordinanza in oggetto, accolgono i primi tre motivi di ricorso e cassano il decreto impugnato rinviando alla Corte di Appello di Venezia anche per la decisione sulle spese del giudizio di legittimità.

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D&G

Aprile 2019

Nota a cura avv. E. Oropallo

Erronea diagnosi e conseguente nascita indesiderata: anche il padre ha diritto al risarcimento

Lo ha affermato la Cassazione, con ordinanza n. 2675/18, depositata il 5 febbraio.

La vicenda. Il Tribunale di Alessandria rigettava la domanda dell’attore volta ad ottenere, nei confronti di un Azienda Ospedaliera, il risarcimento dei danni subiti per l’erronea esecuzione dell’intervento di raschiamento uterino cui era stata sottoposta la moglie a seguito del quale la gravidanza era proseguita e si era conclusa con la nascita di una bambina, contro la volontà dei genitori. Il Tribunale, con sentenza confermata anche dalla Corte d’Appello, sosteneva che non fosse dimostrato che gli interessati avessero espresso la sicura volontà di abortire.
Motivazione del tutto illogica e apparente. La Suprema Corte            ha rilevato che la domanda attorea è stata respinta senza alcuna plausibile motivazione. Infatti, osserva la Cassazione, i Giudici di merito si sono limitati a dedurre l’insufficienza di prove ed ad affermare, illogicamente, che la nascita della figlia fosse una riprova del fatto che la madre non avesse intenzione di fare ricorso ad una interruzione volontaria di gravidanza.
Il diritto al risarcimento del padreDopo aver riscontrato la motivazione illogica ed apparente dei Giudici, la Suprema Corte, ha affermato un nuovo principio di diritto in tema di responsabilità medica per erronea diagnosi concernente il feto e conseguente nascita indesiderata.

Infatti la Cassazione ha disposto che il risarcimento dei danni derivanti dall’inadempimento delle struttura sanitaria all’obbligazione contrattuale spetta, non solo alla madre, ma anche al padre, «atteso il complesso di diritti e doveri che, secondo l’ordinamento, si incentrano sulla procreazione cosciente e responsabile, considerando che, agli effetti negativi delle condotta del medico ed alla responsabilità della struttura in cui egli opera, non può ritenersi estraneo il padre, il quale deve perciò, considerarsi tra i soggetti protetti»; da cui consegue il relativo diritto al risarcimento dei danni, «fra i quali deve ricomprendersi il pregiudizio di carattere patrimoniale derivante dai doveri di mantenimento dei genitori nei confronti dei figli».
In conclusione la Cassazione ha accolto il ricorso e cassato la sentenza impugnata con rinvio alla Corte d’Appello che nel riesaminare la controversia dovrà attenersi ai suddetti principi.

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D&G

Aprile 2019

 

La rilevanza dell’inizio della convivenza more uxorio ai fini dell’esclusione dell’assegno divorzile

Il caso. La controversia oggetto di ricorso per cassazione trae origine da un procedimento per la modifica delle condizioni di divorzio nel giudizio svoltosi davanti alla Corte d’Appello di Brescia. Nella specie il Giudice di merito, in riforma della decisione di prime cure, escludeva che la convivenza more uxorio dell’ex coniuge, beneficiario dell’assegno divorzile, facesse venire meno il diritto all’assegno stesso.

La decisione di merito è contestata davanti alla Suprema Corte dall’ex marito, in qualità di obbligato al versamento dell’assegno.

La Cassazione per decidere la controversia ha richiamato l’ormai consolidato principio di diritto secondo il quale la convivenza more uxorio dell’ex coniuge, fa venir meno il diritto all’assegno, indipendentemente dalla posizione economica di ciascun convivente.

Sul punto la Cassazione con ordinanza n. 2732/18; depositata il 5 febbraio rileva che nella fattispecie non vi sono dubbi che l’ex moglie abbia intrapreso una relazione stabile con un altro uomo, ammessa anche dalla medesima durante il giudizio d’appello. Da quanto richiamato dalla valutazione della Corte deriva la conseguente fondatezza del ricorso principale promosso dall’ex marito per cui, la Suprema Corte, ha cassato il provvedimento impugnato con rinvio alla Corte d’Appello di Brescia che, fermo il principio dell’esclusione dell’assegno divorzile in virtù della stabile convivenza, dovrà accertare il momento in cui questa si è costituita.

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D&G

Aprile 2019

Corte Suprema Usa: no all’immunità assoluta per le organizzazioni internazionali

La Corte suprema degli Stati Uniti, con la sentenza depositata il 27 febbraio nel caso Jam v. International Finance Corporation (n. 17-1011, Jam e altri), ha affrontato la questione dell’immunità dalla giurisdizione delle organizzazioni internazionali. Per la Corte, un’organizzazione può essere citata in giudizio dinanzi ai tribunali degli Stati Uniti se l’attività rientra tra quelle iure privatorum e non iure imperii, con una soluzione analoga a quella prevista per l’immunità degli Stati esteri.

La vicenda ha preso il via dal prestito concesso dall’International Finance Corporation (IFC) a una società indiana, per favorire la costruzione di una fabbrica di carbone a Gujarat, in India. Alcuni cittadini indiani, colpiti dall’inquinamento atmosferico, dell’acqua e del suolo avevano citato in giudizio negli Stati Uniti l’IFC. La Corte distrettuale aveva respinto l’azione affermando l’immunità assoluta dalla giurisdizione dell’organizzazione internazionale, con sede a Washington. Di diverso avviso la Corte suprema che ha annullato il verdetto della Corte distrettuale e rimesso il caso ai giudici di appello del distretto della Columbia.

E’ vero che quando fu adottato L’International Organizations Immunities Act, nel 1945, l’immunità concessa era di carattere assoluto in quanto era previsto che le organizzazioni internazionali godessero della stessa immunità degli Stati, ma nel 1976 il quadro, con l’adozione del Foreign Sovereign Immunities Act, è cambiato perché uno Stato estero può essere citato in giudizio per le attività commerciali.

La Corte non ha accolto la tesi dell’IFC circa la diversità tra immunità degli Stati e immunità delle organizzazioni internazionali, chiarendo che se un ente ha bisogno dell’immunità assoluta può prevederlo in un trattato                    per cui ha respinto la concessione dell’immunità per le attività commerciali.  

In effetti, la IFC è un’agenzia della Banca Internazionale per la ricostruzione e lo sviluppo. Fondata nel 1956 essa ha per scopo di promuovere lo sviluppo dell’industria attraverso l’erogazione di appositi investimenti e la mediazione verso il mercato internazionale del credito.

Un’attività a volte svolta in collaborazione con gli altri organismi appartenenti al gruppo della “Banca Mondiale” operando però principalmente in maniera indipendente essendo un organismo sia legalmente che finanziariamente autonomo. Motivo per cui, correttamente, la Corte ha escluso che potesse avvalersi dell’immunità, trattandosi di un’attività commerciale.

Aprile 2019

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Nota a cura Avv. E. Oropallo

Parere dell’Agenzia Ue sui diritti fondamentali sulla situazione negli hotspots

Su richiesta del Parlamento europeo, l’Agenzia ha aggiornato il parere del 2016 riguardante la situazione in Grecia e in Italia, anche per verificare se i 21 punti indicati nel parere siano stati attuati. Questo per monitorare il funzionamento effettivo del sistema ed assicurare condizioni dignitose per chi arriva sul territorio europeo. 

In via generale, ha accertato l’Agenzia, entrambi i Paesi agiscono con ritardo a far fronte alle esigenze dei minori stranieri non accompagnati, per cui evidenzia l’importanza di rafforzare la protezione dei minori, troppo spesso tenuti in condizioni non appropriate. Non solo. I migranti non riescono ad ottenere tutte le informazioni necessarie, in particolare per accedere alla domanda di protezione internazionale.

Indispensabile anche l’applicazione di misure di salvaguardia per le procedure di allontanamento. In conclusione, con riferimento a 10 settori nei quali era richiesto un intervento effettivo, poco è stato fatto.

In realtà, è peggiorato il trattamento riservato ai migranti che sbarcano sulle nostre coste. Un disagio crescente anche alla luce delle nuove disposizioni emanate in Italia che hanno di fatto travolto ogni principio di legalità, pur di contenere il fenomeno migratorio, ricorrendo anche alla esternalizzazione delle frontiere mediante accordi con paesi del Nord Africa, in particolare con la Libia, paese che non riconosce i trattati internazionali per cui non consente neppure agli ispettori ONU di controllare le condizioni in cui sono tenuti gli immigrati in Libia. Oggi più che mai in pericolo di vita anche alla luce delle operazioni belliche in corso nel territorio libico.

Aprile 2019

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Nota a cura avv. E. Oropallo

Al “termine lungo” per l’impugnazione vanno aggiunti i 31 giorni della “nuova” sospensione feriale

La Sez. III civile della Cassazione (sentenza n. 6592/19, depositata il 7 marzo).

La questione processuale affrontata dalla S.C. riguarda l’eccepita tardività del ricorso per cassazione, notificato, secondo le tesi a sostegno dell’eccezione, con un giorno di ritardo in ragione del termine della sospensione feriale, ormai limitato ad “un mese”.

A tale proposito la Cassazione precisa che non si tratta di “un mese” di sospensione feriale, bensì di “31 giorni”. Secondo un più generale principio, infatti, per i termini mensili o annuali, fra i quali è compreso quello di decadenza dall’impugnazione ex art. 327 c.p.c., osserva, a norma degli artt. 155, comma 2, c.p.c. e 2963, comma 4, c.c., che il sistema della computazione civile, non “ex numero” bensì “ex nominatione dierum”, nel senso che il decorso del tempo si ha, indipendentemente dall’effettivo numero dei giorni compresi nel rispettivo periodo, allo spirare del giorno corrispondente a quello del mese iniziale; analogamente si deve procedere quando il termine di decadenza interferisca con il periodo di sospensione feriale dei termini.

Sulla scorta di questi ormai pacifici principi, il ricorso per cassazione è stato considerato tempestivamente proposto.

Aprile 2019

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D & G

Nota a cura avv. E. Oropallo

Assegno divorzile e onere della prova nella situazione reddituale delle parti.

La valutazione delle prove è rimessa, ai sensi dell’art. 116 c.p.c., al prudente apprezzamento del giudicante e non può ritenersi in alcun modo condizionata dalla scelta, parimenti discrezionale, di disporre, d’ufficio o su istanza di parte, indagini patrimoniali tramite polizia tributaria al fine di procedere al doveroso accertamento dei fatti rilevanti per la decisione. Così la Corte di Cassazione con la sentenza n. 9535/19, depositata il 4 aprile.

I Supremi Giudici ribadiscono un principio già affermato in una precedente pronuncia di legittimità, ad avviso della quale in sede di determinazione dell’assegno di divorzio, l’occupazione di fatto di un immobile da parte del coniuge configura utilità che fuoriesce dall’ambito valutativo proprio dei valori legalmente posseduti da ciascuno dei coniugi.

I Giudici Supremi affermano che, in tema di divorzio, l’art. 5, comma 9, l. n. 898/1970, non impone al Tribunale in via diretta ed automatica di disporre indagini avvalendosi della polizia tributaria ogni volta in cui sia contestato un reddito indicato e documentato, ma rimette allo stesso giudice la valutazione di tale esigenza.                                       

Scopre la vera identità del proprio padre biologico: risarcita per il danno esistenziale subito

A 16 anni ha scoperto che l’uomo da lei identificato come il proprio papà non era in realtà il suo genitore biologico, la cui identità è stata invece accertata solo grazie ad un accertamento giudiziale.

Legittimo il diritto della ragazza, oramai maggiorenne, ad ottenere dall’uomo rivelatosi essere suo padre, non solo il mantenimento ma anche il risarcimento per il danno esistenziale subito (Cassazione, ordinanza n. 9497/19, sez. VI Civile – 1, depositata il 5.4.2019).

Tutto ha origine quando la ragazza vede sconvolta la propria vita: quello che per sedici anni ha chiamato “papà” non è in realtà suo padre. Passaggio successivo è «l’accertamento giudiziale di paternità» che affronta insieme alla madre e che le permette di conoscere l’identità del proprio genitore biologico. E i Giudici le riconoscono il diritto di ottenere dall’uomo non solo 1.500 euro al mese a titolo di «contributo al mantenimento» ma anche                      30 mila euro a titolo di «risarcimento del danno esistenziale» da lei subito.
La decisione presa dalla Corte d’Appello viene ora confermata e resa definitiva dalla Cassazione, che respinge il ricorso proposto dal legale dell’uomo.
In particolare, è ritenuta evidente la «lesione esistenziale» riportata dalla ragazza, una volta preso atto che l’uomo da lei chiamato “papà” non era in realtà il suo vero genitore. Mentre è irrilevante, aggiungono i Giudici, il fatto che ella abbia avuto comunque «un padre legittimo» per diciotto anni.

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D&G

Aprile 2019

Processo Cerberus – Mafie Delocalizzate – Buccinasco (MI) NDRANGHETA

In allegato le sentenze della Corte di Cassazione cui ha fatto riferimento l’Avv. Ambra Giovene nella sua Relazione di venerdì scorso sulla vicenda c.d. Cerberus definita solo dopo 11 anni di processi e due annullamenti con rinvio della Cassazione.

La vicenda si è conclusa con la sentenza dello scorso 10.1.2019 che ha confermato la sentenza della Corte di Appello di Milano la cui motivazione è stata ritenuta idonea a superare i canoni di non manifesta illogicità o contraddittorietà previsti dall’art. 606 c.p.p.

Filippo Poggi

Il valore probatorio dibattimentale delle ricognizioni informali – Tribunale Forlì 26.02.2019 Est. Lisena

In allegato l’estratto della motivazione della sentenza del Tribunale Collegiale di Forlì che ha operato una corretta, condivisibile e prudente operazione di apprezzamento di individuazioni fotografiche informali (nella fattispecie fotogrammi di riprese di telecamere durante una partita di calcio).

Il Tribunale forlivese ha effettuato un excursus sulla questione dei riconoscimenti informali dalla Relazione Preliminare la Codice di rito fino alla recente giurisprudenza di legittimità, concludendo che detti riconoscimenti informali (prove atipiche che il Giudice deve valutare in modo quanto mai rigoroso) in assenza di altri elementi di prova, ed in presenza di elementi di prova contraria introdotti dalla difesa dell’imputato, non potevano superare il ragionevole dubbio in presenza del quale non è raggiunto lo standard probatorio per pronunciare una sentenza penale di condanna, di talché ha assolto l’imputato per insufficienza e contraddittorietà della prova (sulla capacità dimostrativa dei riconoscimenti fotografici v. le considerazioni a pagg. 8-9 della motivazione).

Filippo Poggi

L’avvocato che assiste più parti con posizioni identiche ha diritto alla liquidazione di onorario unico

Così ha stabilito la Corte di Cassazione, seconda sezione civile, con l’ordinanza n. 8677/19 depositata il 28 marzo.

Ha ritenuto la Corte che in una fattispecie nella quale è applicabile ratione temporis il d.m. 585/1994 sulle tariffe professionali, se l’avvocato ha assistito una pluralità di parti con posizioni processuali identiche trova applicazione il comma 4 dell’art. 5 del d.m.. Il legale ha così diritto alla liquidazione di un onorario unico che può essere aumentato nelle percentuali indicate nella disposizione citata in base al numero di parti assistite.

Vale la pena osservare che il principio espresso dalla Cassazione può essere esteso anche agli odierni parametri forensi di cui al d.m. 55/2014.

Infatti oggi l’art. 4, comma 2 del d.m. citato (modificato poi dal d.m. 37/2018) ha prescrizioni analoghe.

Anche sotto il vigore dell’attuale disciplina si può quindi ritenere che la norma citata detti un principio di carattere generale, non riferito al solo soccombente ma anche al cliente.

Fonte D&G

Marzo 2019

Nota a cura avv. E. Oropallo

Obbligo vaccinale: la sola richiesta all’Asl non è sufficiente per l’iscrizione scolastica

Non può essere accolta la domanda cautelare volta all’annullamento del provvedimento di diniego dell’accesso alla scuola pubblica per il mancato assolvimento dell’obbligo vaccinale previsto dal d.l. n. 73/2017, conv. in l. n. 119/2017. La mera presentazione all’istituto scolastico della formale richiesta alla Asl competente per la somministrazione delle vaccinazioni obbligatorie è infatti idonea ai soli fini dell’iscrizione, ma la procedura deve essere completata entro il termine di scadenza per l’iscrizione. Così ha stabilito il TAR Abruzzo, Sez. I, ordinanza n. 41/19; depositata il 23 febbraio.

Fonte D&G

Marzo 2019

La Corte di Cassazione sulla proroga del trattenimento dello straniero presso il Cie

La proroga del trattenimento dello straniero, da parte del giudice di pace deve essere emessa in udienza a seguito dell’audizione dello straniero ed il provvedimento che ne dispone la proroga deve indicare nella propria motivazione le ragioni che la rendono necessaria pena la sua invalidità.

Nel caso in esame il ricorrente aveva contestato le modalità dell’operato del Giudice di Pace, ed in particolare, osservava il difensore dello straniero, come si fosse provveduto in difetto di audizione dello stesso.

Non solo, ma anche sotto un altro aspetto il provvedimento si presentava illegittimo, quello della motivazione, la quale si limitava, contrariamente alla normativa vigente, alla generica indicazione delle ragioni individuate al fine di trattenere lo straniero presso il Cie, omettendo totalmente la necessaria indicazione dei motivi che lo rendevano necessario.

Da ultimo per corroborare ulteriormente la propria tesi, il difensore, deduceva altresì che lo straniero trattenuto fosse comunque inespellibile, dato che egli conviveva con il fratello titolare di cittadinanza italiana configurandosi una situazione rilevante ai sensi dell’art. 19, comma 2, lett. c), d.lgs. n. 286/1998.

Proroga del trattenimento dello straniero. Gli Ermellini ritenevano fondati tutti e tre i motivi di ricorso rappresentati dal ricorrente, annullando il provvedimento del giudice di pace.

Fonte D&G

Marzo 2019