Guida in stato di ebbrezza e prova della responsabilità penale senza prove testimoniali

Una interessante sentenza della Quarta Sezione Penale che definisce un processo forlivese in cui l’istruttoria era stata condotta solo in modo cartolare.

Il giudice del Tribunale aveva revocato i testi del pm e deciso sulla sola base degli atti rappresentati dal verbale di accertamenti urgenti, dagli scontrini dell’etilometro, dal verbale di identificazione e dalla copia della patente. Era stato chiesto l’esame dell’imputata che tuttavia non era presente quindi il giudice emetteva immediatamente sentenza, confermata in appello.

Certamente coglie nel segno la motivazione della Corte Suprema quando afferma che nessun danno all’imputato poteva derivare dalla mancata ammissione/revoca di testi indicati nella sola lista del pm e che in caso delle circostanze favorevoli alla difesa dovessero emergere in dibattimento, era onere del difensore depositare una propria lista testi.

La sentenza rileva anche che l’acquisizione dei degli atti e la revoca dei testi era avvenuta senza che la difesa proponesse eccezioni verbalizzate.

Convince meno il punto della sentenza che rileva una nullità a regime intermedio nella ordinanza che revoca i testi ammessi di talché la parte presente dovrebbe immediatamente verbalizzare l’eccezione di difetto di motivazione al fine di coltivare in sede di appello l’impugnazione dell’ordinanza insieme alla sentenza.

Sono sempre più frequenti i ricorsi a motivazioni implicite ricavate dalla Corte Suprema anche in questo caso in cui è stata considerata corretta la decisione del giudice di appello di negare la messa alla prova in quanto della motivazione e dagli atti si evinceva un precedente per lo stesso reato, oltre alla gravità del fatto in considerazione del tasso alcolemico estremante elevato. Ragioni per la quali la Cassazione ha ritenuto che non vi fosse una omessa motivazione su questo punto del gravame in sede di appello (prognosi negativa sulla capacità a delinquere).

Quindi contestare, eccepire immediatamente ma soprattutto verbalizzare e controllare sempre la correttezza della verbalizzazione. E’ nostro diritto e anche dovere.

Filippo Poggi

La sentenza della discordia

La sentenza della Terza Sezione Penale ha suscitato un ampio dibattito e quasi scandalo siccome interpretata come un outing della Suprema  Corte in tema di (non) parità delle parti processuali di fronte al giudice terzo.

Può darsi ma osserviamo la motivazione della sentenza.

Si tratta di un banale caso di abuso edilizio in cui è stato completamente disatteso il permesso a costruire con distruzione completa del precedente manufatto, ricostruzione con caratteristiche diverse di un altro edificio peraltro di dimensioni più elevate del vecchio manufatto rurale.

In buona sostanza violazioni di tale portata che neppure avrebbero richiesto una consulenza del PM bastando la testimonianza della polizia giudiziaria, come sembra di intendere nelle ultime righe della motivazione.

Mi pare che quindi la conclusione della Suprema Corte in punto di conferma della sentenza impugnata sia assolutamente condivisibile nel merito della legalità della decisione.

Poi si inizia inutilmente, questo davvero secca, a sproloquiare sul processo accusatorio sub specie graduatoria della portata delle affermazioni dei vari consulenti.

Senza nemmeno usare un linguaggio tecnicamente corretto: l’ausiliario del PM diventa perito o consulente a righe alterne, la perizia del giudice sembra solo quella dibattimentale ed altre varie sciatterie.

In un vecchio convegno un bravo avvocato romano ci invitava a ricordarci che l’avvocato si porta sempre appresso “la puzza” del suo cliente. Si deve essere estesa al consulente della difesa.

Eppure quella affermazione forse anche un poco disincantata non l’ho mai trovata impropria o offensiva per la nostra Professione: fa parte di quella alleanza e di quella empatia che si deve necessariamente instaurare tra difensore ed il proprio assistito.

Non vorrei esagerare ma mi sembra questo, puzza compresa, un grande privilegio dell’Avvocatura rispetto alla altre Funzioni Forensi.

Quanto alle tralaticie e anche po’ scomposte motivazioni della sentenza in questione forse occorre stendere un velo pietoso per carità di Patria su una motivazione davvero infelice, nella tranquilla convinzione che il giudice in casi diversi da questo, valuterebbe i consulenti delle parti per la persuasività delle loro affermazioni e la solidità della loro preparazione scientifica.

Tra l’altro il consulente e neppure il PM stesso esercitano funzioni giurisdizionali, ma giudiziarie semmai (v. art. 357 c.p.), il che, se ne converrà, è leggermente diverso.

Sulle indagini in favore dell’imputato forse è meglio trincerarsi dietro un prudente no comment.

Filippo Poggi

Falsità ideologica dell’esercente la professione sanitaria

In questa interessante sentenza della Quinta Sezione Penale si ripercorrono le ipotesi di falsità in cui può incorrere l’esercente la professione sanitaria in ambito pubblico o privato.

Vengono descritti gli effetti e la portata certificativa della cd ricetta rossa del SSN emessa dal medico pubblico o dal medico convenzionato e la ricetta bianca emessa dagli stessi quando operino come liberi professionisti puri o intra moenia.

In effetti la vicenda trattata dalla Corte è ben poco commendevole trattandosi di un medico che aveva rilasciato due ricette bianche “di favore” ad un farmacista che aveva venduto dei farmaci anabolizzanti probabilmente ad un culturista, mentre si era cercato di sostenere da parte del medico che le ricette erano per il padre operato di prostata.

Una vicenda squallida dal punto di vista etico e professionale ma che mi dà un po’ da pensare quando la Cassazione come avviene ormai abbastanza spesso integra il precetto penale ovvero stabilisce norma processuali (nel caso degli avvocati) facendo ricorso ampio ai codici deontologici professionali.

In questo caso la norma sicuramente applicabile era l’art. 481 del codice penale come riconosciuto dalla Suprema Corte (il giudice di primo grado doveva avere preso un forte abbaglio) tuttavia da quanto si comprende dalla lettura della motivazione, nella ricetta bianca non era indicato il nome del paziente (come di solito avviene per quanto di mia esperienza personale) e nemmeno la patologia, di talché per fondare la ipotesi di falso ideologico si ricorre all’art. 22 del codice di deontologia medica che impone la visita del paziente, salvo il ricorrere di ben determinate condizioni.

Il ricorso anche in questo caso come avviene di solito è stato dichiarato inammissibile anche al fine non esplicitato di  non dichiarare la intervenuta prescrizione del reato (almeno per il primo dei due fatti) anche considerata la sospensione della prescrizione covid per 63 giorni.

Filippo Poggi

Inammissibilità del ricorso presentato a mezzo PEC

La Prima Sezione Penale della Cassazione ha dichiarato inammissibile un ricorso per cassazione in materia cautelare personale presentato a mezzo PEC.

La soluzione adottata ancorché apparentemente molto rigorosa merita senz’altro condivisione.

La sentenza impone quindi di affrontare il tema dei provvedimenti organizzativi dei dirigenti degli Uffici ed i protocolli condivisi tra COA, Associazioni Professionali, Camere Penali e Dirigenti di Tribunali e Procure, Corte di appello e Procura Generale.

Tali fonti non possono essere mai derogatorie della disciplina prevista dal codice di procedura penale che specie in materia di impugnazioni è assolutamente tassativo, quindi mi aveva reso perplesso un accordo che prevedeva la possibilità di presentare a mezzo PEC l’atto di opposizione al decreto penale di condanna.

E’ necessario che i provvedimenti organizzativi che si andranno ad adottare a questo punto senz’altro fino al 31.01.2021 non comprimano in alcun modo i diritti difensivi dei difensori e comunque che l’accesso in cancelleria per atti in scadenza a pena di inammissibilità restino il più possibile liberi, tenendo conto anche del fatto che la legge (art. 162 della Legge n. 1196/1960) impone una apertura di dette cancellerie e segreterie per almeno quattro ore al giorno (cinque per le segreterie delle Procure) dal lunedì al venerdì (tale orario non può legittimamente essere compresso per nessuna ragione come stabilito dal Consiglio di Stato) mentre per il sabato deve essere previsto un presidio per gli atti scadenti in giornata.

Ogniqualvolta possibile oltre alla PEC nei casi consentiti non sarebbe male utilizzare lo strumento della raccomandata (deposito di nomine del difensore di fiducia etc.).

Filippo Poggi

 

162. Orario di ufficio.

Le cancellerie e segreterie giudiziarie sono aperte al pubblico cinque ore nei giorni feriali, secondo l’orario stabilito dai capi degli uffici giudiziari, sentiti i capi delle cancellerie e segreterie interessate. Le cancellerie delle corti di appello e dei tribunali ordinari sono aperte al pubblico almeno quattro ore nei giorni feriali, secondo l’orario stabilito dai rispettivi presidenti, sentiti i capi delle cancellerie interessate (183).

L’orario giornaliero di servizio ha la durata di sei ore in ciascun giorno feriale.

Il presidente della Corte e il procuratore generale possono stabilire che tale orario sia diviso in due periodi.

Quando le esigenze dell’ufficio lo richiedano il funzionario o l’impiegato è tenuto a prestare servizio, con il diritto alla retribuzione per lavoro straordinario, anche in giorni o in ore non comprese nell’orario normale, salvo che sia esonerato per giustificati motivi (184).

(183) Comma così modificato dal comma 1 dell’art. 51, D.L. 24 giugno 2014, n. 90, convertito, con modificazioni, dalla L. 11 agosto 2014, n. 114.

(184) Il comma 1 dell’art. 1, D.Lgs. 1 dicembre 2009, n. 179, in combinato disposto con l’allegato 1 allo stesso decreto, ha ritenuto indispensabile la permanenza in vigore del presente provvedimento, limitatamente agli articoli da 1 a 42, da 48 a 182 e alle tabelle allegate.

Violenza sessuale con abuso di autorità (privata)

E’ stata appena depositata la motivazione della sentenza con cui le sezioni unite penali hanno affermato che l’abuso di autorità previsto dall’art. 609-bis c.p. può essere rappresentato anche da una autorità di fatto e privata quindi estendendo notevolmente la portata della norma soprattutto nell’ambito del lavoro privato con possibili abusi da parte di sedicenti persone offese e conseguenti irrigidimenti nel rapporti sociali che dovranno essere sempre meno spontanei e più “sorvegliati”. Nel caso concreto per un fatto commesso da un insegnante durante lezioni private risoltosi in toccamenti vari è stata confermata l’esclusione del fatto di particolare tenuità e il diniego delle generiche. Un rigorismo eccessivo che non può mancare di ingenerare parecchie perplessità.

Filippo Poggi

I reati in materia di stupefacenti compatibili con l’attenuante di cui all’art. 62 n. 4 c.p. (anche la fattispecie ex art. 73, comma 5)

E’ stata appena depositata la motivazione della sentenza delle Sezioni Unite n. 24990/2020 di straordinaria utilità pratica, che dopo trent’anni dalla riformulazione dell’art. 62 n. 4 c.p. riconosce che detta attenuate è applicabile ai reati in materia di stupefacenti e compatibile anche il reato di cui all’art. 73, comma 5 del DPR N. 309/1990 senza che ciò comporti una doppia valutazione dello stesso elemento che riduce la gravità del fatto e quindi diminuisce la risposta sanzionatoria.

La ricorrenza della attenuante deve essere valutata dalla polizia giudiziaria (che si confronterà col pm) anche in sede di arresto facoltativo in flagranza e dal giudice ai fini della convalida incidendo ovviamente sulla gravità del fatto.

L’attenuante può essere applicata anche di ufficio ex art. 597, comma 5 c.p.p. nei giudizi in corso in fase di Appello e nel caso non sia stata richiesta nei motivi di impugnazione è necessario che la richiesta anche proposta in udienza consti a verbale.

Filippo Poggi

La Suprema Corte di Cassazione detta le regole per procedere validamente in assenza

La Suprema Corte di Cassazione nel suo massimo Consesso ha appena depositato la motivazione della sentenza resa lo scorso mese di novembre 2019 in ordine alla possibilità di procedere in assenza dell’imputato dettando il valore normativo della situazioni previste dall’art. 420-bis c.p.p. in modo conforme a Costituzione e Convenzione EDU, sentenza resa in procedimento precedete alla modifica dell’art. 162 c.p.p. che introduce la necessità di acquisire il consenso del difensore di ufficio per la elezione del domicilio nel suo studio, norma che rafforza i dicta della Corte.

La vicenda prende le mosse da una indagine per immigrazione clandestina in cui nei confronti di un presunto ‘scafista’ era stato redatto verbale di identificazione ed elezione di domicilio presso il difensore di ufficio (ante riforma del 2017) verbale redatto prima dell’iscrizione della persona nel registro ex art. 335 c.p.p. soggetto poi dichiarato latitante a seguito di emissione di ordinanza di custodia cautelare.

La Corte di Assise di Genova ha ritenuto corrette le notificazioni effettuate presso il domicilio del difensore e condannato alla pena di giustizia, diversamente la Corte di Assise di appello di ufficio ha annullato la sentenza ritendo che non risultasse che l’imputato avesse mai avuto una conoscenza effettiva del procedimento ovvero si fosse volontariamente sottratto allo stesso.

Presentava ricorso il PG di Genova avverso la sentenza di annullamento ma il PG della Cassazione concludeva per il rigetto del ricorso condividente la motivazione del giudice di appello.

La Suprema Corte ripercorreva la pronunce oggetto di contrasto e procedeva ad una ricognizione della successione normativa dalla emanazione del nuovo c.p.p. alla riforma del 2005 alla introduzione del processo in assenza nel 2014.

Procedeva poi alla ricognizione della giurisprudenza della Corte EDU a partire dalla pronuncia del 12/2/1985 cui si era ispirata la normativa del nuovo c.p.p. nel caso Colozza contro Italia – v. pagg. 8 segg. motivazione.

In definitiva, la Suprema Corte riteneva che in alcun modo gli indici indicati nell’art. 420-bis c.p.p. possano mai essere qualificati come presunzioni legali ed di seguito:

  • Elezione o dichiarazione del domicilio
  • Sottoposizione a misura precautelare o cautelare
  • Nomina del difensore di fiducia

Considerare che la presenza di uno di questi indici possa comportare un presunzione legale di conoscenza del procedimento che legittima il procedimento in assenza riporterebbe l’imputato ad una situazione deteriore a quella vigente nel 2005 in contrasto con l’espressa volontà del legislatore anche del 2014.

Non valgono di per sé a dimostrare in alcun modo la volontaria sottrazione dell’imputato alla conoscenza del procedimento.

La Suprema Corte in modo molto elegante fa riferimento a prassi di polizia che specialmente nei confronti di soggetti stranieri fanno ampio ricorso alla elezione del domicilio presso lo studio del difensore magari di ufficio.

Come pure anche in caso di nomina di un difensore di fiducia, che potrebbe essere solo apparente, occorre indagare se si è veramente instaurato un rapporto professionale ovvero detto difensore ha immediatamente comunicato la mancata accettazione del mandato (cosa a mio avviso altamente consigliabile a tutela prima del soggetto sottoposto a indagine ma anche per eventuali responsabilità professionali e disciplinari del difensore).

Non ha rilevanza decisiva neppure la dichiarazione di latitanza che potrebbe essere formale.

In buona sostanza gli indici sopra ricordati facilitano l’attività del giudice pur appunto non potendo mai essere considerate presunzioni legali di conoscenza quindi occorre la certezza che la vocatio in iudicium sia stata portata alla conoscenza dell’imputato ovvero che questi si è volontariamente sottratto alla conoscenza del processo ma distinguendo bene questa situazione che legittima di procedere in assenza, dalla semplice mancata diligenza informativa (v. pagg. 28-29 motivazione) che invece impone la sospensione del processo.

La sentenza resa in violazione di dette norme può essere annullata anche di ufficio in assenza di specifica impugnazione sul punto da parte del difensore.

Una sentenza insomma da accogliere con viva soddisfazione anche perché l’ordinanza di remissione della Prima Sezione Penale sembrava propendere per l’orientamento opposto.

Concludo affermando che a mio giudizio con la introduzione dell’art. 162, comma 4-bis c.p.p. il difensore di ufficio non dovrebbe mai prestare l’assenso alla elezione del domicilio nel proprio studio se non in casi particolari che starà a lui valutare con cura, come pure in caso di comunicazione di nomine fiduciarie con elezione di domicilio nello studio da parte di soggetti sconosciuti è altamente raccomandabile provvedere il prima possibile a comunicare la non accettazione del mandato e la non accettazione delle elezione del domicilio (vanno fatto entrambe le dichiarazioni).

Cari saluti a Tutti,

Filippo Poggi

Dialogo vero sulla separazione della carriere e dintorni

In allegato due articoli di magistrati di altissimo spessore professionale e intellettuale (Bricchetti e Borgna) con cui è davvero possibile dialogare con molto profitto. La considerazioni del Dott. Borgna su una riforma che veda il giurista nel corso della vita professionale passare da funzioni di avvocato a quello di magistrato con appositi sistemi e selezioni (a partire dalla Suprema Corte di Cassazione per espressa previsione costituzionale del tutto inattuata fino a pochissimi anni fa) mi pare una soluzione che a mio giudizio merita la massima attenzione. Le statistiche ci dicono di fatto le carriere sono ormai separate, i passaggi da funzioni requirenti a giudicanti e viceversa sono ormai molto poche (80 nel triennio).

Sarebbe tempo di ritrovare l’armonia e la comunità di intenti tra giuristi degli anni ‘60 e ‘70 che Terrorismo e lotta alla Mafia che le loro leggi speciali hanno reso molto più difficili fino a farli decisamente precipitare a livelli molto bassi (ci sono a mio giudizio anche altre ragioni).

Buone vacanze a Tutti.

Filippo Poggi

Sospensione prescrizione violenza sessuale

In questa sentenza appena depositata la Suprema Corte di Cassazione si esprime per la prima volta sulla sospensione della prescrizione covid dichiarando manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale con argomenti niente affatto persuasivi.

Ricordiamo le limpide parole di M. Nobili in Prescrizione fra diritto e procedura penale.

Interessante, perlomeno, la ricognizione della alluvionale normativa in materia di questi ultimi mesi.

Filippo Poggi

Carminati senza dimenticare mai Tortora

In allegato l’ordinanza del Tribunale della Libertà di Roma che ha tanto disorientato l’opinione pubblica per la scarcerazione di quello che sarà un bel tomo ma è in custodia carceraria da quasi sei anni termine massimo previsto con notevole generosità dall’art. 303, comma 4 c.p.p.

Il Tribunale di Roma ha fatto un lavoro molto accurato anche di ricostruzione della posizione giuridica visto che la Corte di Appello di Roma invece per tre volte ha negato la scarcerazione..

Il fatto che il Presidente firmi l’ordinanza anche come estensore mentre il relatore era altro giudice fa pensare che decisione del collegio sia stata presa a maggioranza.

Se la Procura Capitolina non si fosse incaponita nella contestazione dell’art. 416-bis c.p. già esclusa in primo grado, Carminati ed altri sarebbero già in esecuzione di pena. Invece.

Fa molto piacere vedere come ci siamo tantissimi magistrati che si preoccupano solo della corretta interpretazione delle norma come hanno evidenziato anche le ordinanze di remissione alla Corte costituzionale del DL n. 29/2020 con cui si pretendeva una rivalutazione ex post dei provvedimenti emessi dopo il 23.02.2020 per riportare in galera i boss, come dicono molti cittadini male informati dalla stampa e da quasi tutti i politici.

Oggi poi vogliamo ricordare lo scempio di una persona perbene. Enzo Tortora. Arrestato all’alba del 17.06.1983. Tutti i pm di quel processo hanno poi avuto una fulgida carriera.

Cari saluti a Tutti,

Filippo Poggi

M. NOBILI, Prescrizione e irretroattività tra diritto e procedura penale

Quando tra poco cominceremo a discutere (accapigliarci?) sulle norme che in questi mesi hanno sospeso il corso della prescrizione e finanche i termini per la presentazione della querela (art. 221 del DL n. 34/2020) ricordare sempre l’insegnamento di Massimo Nobili per cui “la proibizione costituzionale cade su ogni norma che determini l’essere o non essere condannati. Sarebbe ipocrita affrontando il problema della querela, discutendo della sua natura (procedurale o sostanziale); si tratta comunque di una disciplina in base alla quale si è puniti”.

Agendo sulla sospensione della prescrizione il Legislatore ha cercato di produrre una retroattività  nascosta, indiretta ma un vero Maestro come Massimo Nobili disvela l’inganno.

Filippo Poggi

Giudizio penale di Cassazione durante l’emergenza sanitaria (e non solo)

Un tentativo di interpretare una normativa alluvionale quasi incomprensibile e parte della quale ancora da convertire in legge (DL 30.04.2020).

Tutto il notevole problema della sospensione della prescrizione dei reati non sembra adeguatamente approfondito anche in considerazione della pacifica natura sostanziale dell’istituto per cui non si potrebbero applicare sospensione del decorso della prescrizione e reati commessi prima del 9 marzo 2020 come è stato per la c.d. Riforma Orlando con Legge n. 103/2017 che ha previsto una sospensione della prescrizione per il giudizio di appello e quello di cassazione ma solo per i reati commessi dopo l’entrata in vigore della nuova normativa (03.08.2017).

La sospensione della prescrizione legata poi ad un adempimento meramente amministrativo come l’arrivo del fascicolo dal giudice di merito alla cancelleria della Suprema Corte è un inedito assoluto.

Tale sospensioni sono infatti sempre in precedenza collegate al momento della pronuncia della sentenza.

Ne vedremo delle belle.

Fino al 31 luglio 2020 ma non c’è dubbio che avremo altre sorprese.

Filippo Poggi

Vademecum difensore e direttive sequestro preventivo automobile

In queste ore in cui non è chiaro se per la prima volta in assoluto i nostri studi professionali dovranno restare chiusi, il che sarebbe un precedente gravissimo nella storia della Repubblica anzi dello Sato Unitario, invio un utile vademecum del COA di Roma sulla ultima normativa sulla difesa penale e la direttiva del Procuratore di Parma che invita la FF.PP. a provvedere al sequestro preventivo dell’autovettura in caso di spostamenti fuori dal Comune di residenza e violazione dell’art. 650 del codice penale (mi pare un interpretazione destinata a non tenere di fronte ad un riesame cautelare).

Naturalmente non dobbiamo dimenticare che siamo a tutti gli effetti in quanto avvocati degli esercenti un servizio di pubblica necessità ai sensi dell’art. 359 del codice penale (la professione forense è menzionata addirittura prima di quella sanitaria) e quindi personalmente quando lo riterrò necessario per tutelare un assistito non mi farò scrupolo della molto eventuale violazione dell’art. 650 c.p. per tutelare i suoi diritti costituzionalmente presidiati.

Il momento non è davvero facile e tutti insieme dobbiamo cercare di essere all’altezza della situazione ma soprattutto della nostra Professione.

Un forte abbraccio.

Filippo Poggi

Restituzione di cose sottoposte a sequestro probatorio in fase di indagini preliminari

In questa interessante sentenza della Terza Sezione Penale si fa un po’ il punto su una questione che in effetti dovrebbe essere incontroversa che in pratica presenta spesso prassi difformi dal modello legale: la restituzione della cose sequestrate ai fini di prova del corso delle indagini preliminari.

La norma di cui all’art. 263, comma 4 c.p.p. è chiarissima, nel corso delle indagini preliminari provvede il pm con decreto motivato che può essere opposto avanti al GIP che procede ai sensi dell’art. 127 c.p.p.

Nel caso in questione come avviene non di rado, l’istanza di restituzione era stata correttamente presentata al pm che aveva ricusato di provvedere trasmettendo gli atti al GIP con parere contrario ed il GIP aveva difatti proceduto disponendo una “confisca anticipata” delle cose, istituto questo non presente nel sistema coma la Suprema Corte non manca di censurare annullando senza rinvio l’ordinanza del GIP.

In definitiva nel corso delle indagini preliminari di fronte ad una richiesta di restituzione di cose sottoposte al sequestro probatorio il pm deve provvedere direttamente in quanto di sua competenza funzionale sull’istanza e giammai trasmettere la stessa al GIP con un parere che è del tutto irrituale ed elusivo appunto della predetta competenza.

In tal modo l’istanza di fronte al decreto di rigetto del pm potrà presentare l’opposizione avanti al giudice che in questa fase sarà necessariamente il GIP il quale procederà ai sensi dell’art. 127 c.p.p. con udienza in camera di consiglio.

In definitiva il parere contrario del pm sulla istanza di restituzione non potrebbe mai essere considerato un provvedimento di rigetto anche implicito, mentre l’eventuale provvedimento del GIP è affetto da nullità assoluta per incompetenza funzionale, atto che oltretutto impedirebbe alla difesa di adire l’opposizione davanti al giudice competente

Nel caso de quo la Suprema Corte ha annullato senza rinvio i provvedimento del GIP di “confisca anticipata” restituendo gli atti al pm di Bologna affinché provveda sulla istanza di restituzione.

Filippo Poggi

Nozione di pedopornografia – Organi sessuali secondari

In allegato una sentenza molto interessante non solo in tema di pedopornografia in cui viene esplicitamente affermato che anche la visione di organi sessuali secondari come seno e glutei integrano il precetto penale, ma anche per questioni processuali risolte, almeno a mio giudizio, in modo non persuasivo dalla Suprema Corte.

Innanzitutto il tema sempre molto scivoloso delle “spontanee dichiarazioni” che tutti sappiamo quanto spesse tali dichiarazioni di spontaneo abbiamo ben poco e quindi in caso di conoscenza di un procedimento penale pendente si dovrebbe sempre suggerire all’assistito di non aprire mai bocca senza la presenza del difensore (solo nome, cognome e numero di matricola, come per i prigionieri di guerra ….).

Le spontanee dichiarazioni sono pacificamente utilizzabili per la decisione del giudizio abbreviato anche se la giurisprudenza impone al giudice di verificare anche di ufficio la spontaneità della dichiarazione medesima: nel caso de quo il verbale non era stato sottoscritto dall’indagato il che, si dovrebbe convenire, era un indizio bello grosso di non spontaneità della dichiarazione, eppure la Suprema Corte ha liquidato il problema con la genericità del ricorso sul punto, il che pare francamente eccessivo.

Vi è poi la questione, almeno come pare di comprendere dalla motivazione, del giudizio abbreviato condizionato alla assunzione di una perizia in cui il quesito formulato dalla difesa sarebbe stato stravolto ed ammesso il quesito formulato dal PM che semmai poteva essere ammesso solo nell’esercizio del suo diritto di controprova. La questione anche in questo caso è stata liquidata con la mancanza di immediata eccezione di nullità formulata dalla difesa che comunque non risultava da verbale di udienza, quindi pare necessario sempre e comunque formulare immediatamente eccezioni di nullità e richiedere che il Giudice faccia leggere al cancelliere il contenuto del verbale in modo da essere certi di una verbalizzazione perfettamente conforme alle nostro intenzioni; ogniqualvolta possibile mi sembra che sia da preferire una eccezione di nullità contenuta in una nota di udienza da allegare al verbale.

In questo momento di viva apprensione che tutti viviamo ma senza per nulla sottrarci ai nostri doveri di difensori, un caro saluto.

Filippo Poggi

Protezione umanitaria e permesso di soggiorno per calamità

Il principio è stato affermato dalla I Sezione Civile della Suprema Corte con l’ordinanza n. 2563/20, depositata il 4 febbraio.

Il caso. Il Tribunale di Ancona aveva respinto il ricorso proposto da un cittadino del Bangladesh avverso il provvedimento con cui la Commissione territoriale aveva a sua volta rigettato la domanda di protezione internazionale proposta, con esclusione della sussistenza dei presupposti per la protezione umanitaria. Dal racconto del richiedente non risultano infatti circostanze di pericolo richieste dalla Convenzione di Ginevra, fermo restando che la generica gravità della situazione socio-economica del paese di origine e la mancata possibilità di esercitare le libertà democratiche non si traducono nel timore di una grave persecuzione.

Secondo la giurisprudenza, tra i motivi per cui è possibile riconoscere la protezione umanitaria non rientrano né l’integrazione sociale e lavorativa in Italia, né le condizioni di indigenza o i problemi di salute “necessitando, invece, che tale condizione sia l’effetto della grave violazione dei diritti umani subita dal richiedente nel Paese di provenienza” (cfr. Cass. Civ. n. 28015/17). E’ dunque necessaria un’effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente per verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione dei diritti umani “al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale”.

Il catalogo dei “seri motivi”che possono dunque fondare la richiesta di protezione umanitaria risulta aperto, non essendo spazi tipizzati o predeterminati dal legislatore neppure in via esemplificativa.

Calamità. In tale contesto, deve essere inserito l’art. 20-bis d.lgs. n. 286/1998 (inserito dal d.l. n. 113/2018, conv. in l. n. 132/2018) che prevede espressamente il permesso di soggiorno per calamità «quando il Paese verso il quale lo straniero dovrebbe fare ritorno versa in una situazione di contingente ed eccezionale calamità che non consente il rientro e la permanenza in condizioni di sicurezza».                   Il Collegio afferma dunque che «in sede di interpretazione evolutiva, tale norma non può non essere utilizzata dal giudice in chiave interpretativa al fine di chiarire anche il precetto elastico di cui all’art. 5, comma 6, d.lgs. n. 286/1998».

In conclusione, viene dunque affermato che “ai fini del riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per ragioni umanitarie, in sede di interpretazione evolutiva, ai fini della valutazione della vulnerabilità del richiedente – che nel proprio racconto ritenuto credibile abbia posto alla base della sua immigrazione ripetute alluvioni subite nel Paese di origine – va considerato altresì l’art. 20-bis d.lgs. n 286/1998 (inserito dal d.l. n. 113/2018, conv. in l. n. 132/2018) che ha espressamente previsto il permesso di soggiorno per calamità, da concedere “quando il Paese verso il quale lo straniero dovrebbe fare ritorno versa in una situazione di contingente ed eccezionale calamità che non consente il rientro e la permanenza in condizioni di sicurezza”, permesso che ha la durata di sei mesi, è rinnovabile per un periodo ulteriore di sei mesi se permangono le condizioni di eccezionale calamità suindicate, è valido solo nel territorio nazionale e consente di svolgere attività lavorativa, pur non potendo essere convertito in permesso di soggiorno per motivi di lavoro.

La Corte accoglie il ricorso e cassa il decreto impugnato con rinvio al Tribunale in diversa composizione.

21/2/2020

Fonte: www.dirittoegiustizia.it

Nota a cura Avv. E. Oropallo

La costituzione del fondo patrimoniale è un atto a titolo gratuito suscettibile di revocatoria

Lo ha chiarito la Suprema Corte con ordinanza n. 2077/20 depositata il 30 gennaio.

Il caso. La Corte d’Appello confermava la decisione del Tribunale che dichiarava inefficace l’atto notarile con cui la ricorrente, dichiarata fallita, aveva costituito, con il consenso del marito, un fondo patrimoniale nel quale aveva conferito un fabbricato ad uso abitativo. Avverso tale pronuncia, la ricorrente ricorre per cassazione lamentando la non ritenuta destinazione ai bisogni della famiglia del bene conferito nel fondo patrimoniale.

Fondo patrimoniale. Sul tema la Cassazione richiama il principio secondo cui «la costituzione del fondo patrimoniale per fronteggiare i bisogni della famiglia, anche qualora effettuata da entrambi i coniugi, non integra di per sé, adempimento di un dovere giuridico, non essendo obbligatoria per legge, ma configura un atto a titolo gratuito, non trovando contropartita in un’attribuzione in favore dei disponenti. Esso, pertanto, è suscettibile di revocatoria, a norma dell’art. 64 l. fall., salvo che si dimostri l’esistenza, in concreto, di una situazione tale da integrare, nella sua oggettività, gli estremi del dovere morale ».

Nella fattispecie, posta la manifesta infondatezza del motivo di ricorso per difetto di specificità e la sua inammissibilità in relazione all’onere della prova che grava sul fallito in sede di azione revocatoria per sottrarre alla massa il bene sul quale è stato costituito il fondo, la Cassazione conclude per il rigetto del ricorso.

Fonte: www.dirittoegiustizia.it

Nota a cura avv. E. Oropallo

Cesena lì 21.2.2020