Rifiuto di difendere d’ufficio due imputati perché la parcella è troppo bassa: giusta la multa (Sez. IV CEDU caso Kostantin Stefano c/ Bulgaria ric. 35399/05)

Così ha decretato la CEDU con sentenza del 27.10.2015 rigettando il ricorso presentato da uno dei legali nominati difensori di ufficio per difendere due congiunti in un processo per furto, che si videro calcolare la parcella in base ai minimi tariffari vigenti.

Quando il giudice ne comunicò ai legali l’importo questi rifiutarono di difendere i loro clienti, malgrado la minaccia, poi concretizzatasi, di essere multati, oltre il rischio di esporsi a sanzioni disciplinari. La Cedu ha ritenuto che non sussiste alcuna ipotesi di violazione della libertà di espressione, né una lesione sotto il profilo patrimoniale. Ricorso infondato tenuto conto del giusto equilibrio tra la tutela degli interessi collettivi e i diritti fondamentali del ricorrente.

Sentenza da tener presente –tenuto conto del principio applicato – anche nei numerosi casi in cui il difensore d’ufficio, nel sistema vigente in Italia, spesso si vede liquidato un compenso ancorato ai minimi tariffari.

Fonte D & G

Novembre 2015

Nota a cura avv. Oropallo

Prescrizione anticipata della Lira

Recentemente la Consulta con sentenza del 5.11 n. 216/15 ha dichiarato la incostituzionalità del d.l. n. 201/2011 (cd. “decreto salva Italia”) convertito in legge n. 214/2011 nella parte in cui disponeva la prescrizione anticipata, con effetto immediato, delle lire ancora in circolazione alla data del 6/12/2011.

La pronuncia trae origine dalla rimessione del Tribunale di Milano nel corso di un giudizio in cui gli attori avevano chiesto la condanna della Banca d’Italia al pagamento del controvalore delle lire in loro possesso, oltre al risarcimento dei danni, dopo aver tentato invano di convertire le banconote in loro possesso in euro prima della scadenza del termine ordinario di prescrizione del 28 febbraio 2012.

La Corte rileva che la legge finanziaria 2013 stabiliva che le banconote e le monete in lire potevano essere convertite in euro presso le filiali della Banca d’Italia non oltre il 28.2.2012, scadenza del termine decennale di prescrizione stabilito a favore dell’erario.

La norma esaminata, scrive la Consulta, contrasta con il valore del legittimo affidamento il quale trova copertura costituzionale nell’art. 3 della Costituzione.

Non c’è dubbio che il quadro normativo preesistente alla disposizione dichiarata incostituzionale fosse tale da far ragionevolmente confidare nel mantenimento del termine originariamente fissato per legge né è ammissibile, come sostenuto dalla difesa dello Stato, che posizioni cosiddette possono essere sacrificate al dichiarato fine di ridurre il debito pubblico.

Sentenza giusta ma amara perché ancora una volta si assiste ad uno stravolgimento normativo che sacrifica il cittadino a fronte di un provvedimento “salva Italia” solo per risanare le casse dello Stato a spese, però, dei cittadini.

Sentenza certamente condivisibile che non produce, ahimè, alcun effetto utile per i cittadini che si sono trovati nella stessa situazione.

Fonte D. & G.

Novembre 2015

Nota a cura avv. E. Oropallo

Riforma reati societari

In allegato la relazione del Massimario destinata alla riunione sezionale della V sezione penale nonché l’informazione provvisoria (che devo alla cortesia del Dott. Santangelo) della decisione della stessa sezione del 12.11.2015 che sembra andare di (consapevole) contrario avviso con il precedente della stessa sezione del 30/07/2015 n. 33774 sui c.d. falsi valutativi.

Una ennesima dimostrazione dell’importanza nonché del potere dell’Ufficio del Massimario sulle decisioni della Corte.

Filippo Poggi

Revoca della sentenza per depenalizzazione e sequestro per equivalente

In allegato due recentissime pronunce che mi sono state segnalate dal caro amico Avv. Roberto Brancaleoni Presidente della Camera Penale di Rimini.

Filippo Poggi

– la prima è la motivazione, depositata il 4 Novembre, dell’ordinanza con la quale il Tribunale del Riesame di Rimini ( Dott. Barbuto estensore ) ha annullato un sequestro preventivo per equivalente ritenendo che la condotta del datore di lavoro che porti illegittimamente in compensazione indennità in realtà non erogate con debiti verso l’INPS, non configura il reato di truffa aggravata in danno di ente pubblico, ma il diverso reato di cui all’art. 316-ter c.p., o nessun reato sotto i 4.000 €. La decisione assume una certa importanza a livello locale poiché pare che ci siano decine di procedimenti analoghi in corso, in cui la Procura di Rimini aveva sempre contestato la truffa aggravata ed i G.I.P. avevano confermato la qualificazione disponendo sequestri. la seconda è un’ordinanza del 3 Novembre con la quale il G.U.P. di Pesaro, in veste di Giudice dell’Esecuzione, ha accolto un’istanza di revoca di sentenza passata in giudicato per omesso versamento di I.v.a., condividendo la tesi che la modifica delle soglie di punibilità intervenuta con il D.Lgs. 158/2015 comporti abolitio criminis per le condotte sotto le nuove soglie, e che il Giudice dell’Esecuzione sia conseguentemente tenuto a revocare la sentenza, pur passata in cosa giudicata ( in questo caso addirittura in esecuzione).

Processo in assenza e questioni di legittimità costituzionale

In allegato una memoria con richiesta al giudice di sollevare questione di legittimità costituzionale del processo in assenza di imputato che ha dichiarato il domicilio presso il difensore.

Si tratta solo di una prima approssimazione in cui diverse importanti questioni sono solo accennate (tra l’altro la mia conoscenza della giurisprudenza della Corte Edu è limitatissima) aperta quindi al contributo di tutti quelli che se ne vorranno servire emendandola ed arricchendola, anche perché mi risulta che il Tribunale di Forlì dovrebbe decidere sul punto entro la prima metà di dicembre.

Filippo Poggi

Dichiarazione del domicilio e notifica presso il difensore ai sensi dell’art. 157, comma 8-bis c.p.p.

In allegato la copia dell’ordinanza resa dalla Prima Sezione Penale della Corte di Appello di Bologna sulla eccezione di nullità della notifica del decreto di citazione effettuata via PEC al difensore nonostante l’imputato avesse dichiarato il domicilio presso la propria abitazione ed ivi avesse ricevute tutte le notifiche dalle indagini preliminari fino a tutto il giudizio di primo grado.

Una ordinanza sostanzialmente eversiva della norma di cui all’art. 157, comma 8-bis c.p.p. (nonché dell’art. 161 c.p.p.) come interpretata dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 19602/2008.

In tale modo la Corte di Appello di Bologna pretende ormai con indirizzo quasi uniforme di notificare presso i difensori di fiducia tutti i decreti di citazione tamquam non essent elezioni o dichiarazione del domicilio regolarmente fatte dagli imputati nel corso del processo.

Nel mio caso ho preferito sollevare la questione con una memoria depositata in cancelleria alcuni giorni prima dell’udienza, udienza alla quale poi non mi sono presentato (naturalmente lo stesso ha fatto l’imputato) per evitare qualunque sanatoria (nullità a regime intermedio quindi sanabile) e non essere sgradevolmente interrogato sui miei obblighi deontologici di informare il cliente sulla data di udienza (nessun obbligo credo, vista la dichiarazione del domicilio e il mio esplicito rifiuto manifestato fin dalla nomina depositata nel 2009 di ricevere notifiche ai sensi dell’art. 157, comma 8-bis c.p.p).

Vedremo cosa deciderà tra qualche mese la Corte di cassazione.

Filippo Poggi

Ebbrezza particolare tenuità e sospensione della patente di guida

In questa argomentata sentenza della Quarta Sezione Penale della Corte di Cassazione depositata ieri 02/11/2015 vengono affrontate numerose questioni in ordine alla applicazione dell’istituto della particolare tenuità del fatto ex art. 131-bis cod. pen. con particolare riferimento alla guida in stato di ebbrezza.

In primo luogo la Corte prende nettamente posizione per l’applicabilità del nuovo istituto sostanziale anche per i reati che prevedano valori-soglia di rilevanza penale, addirittura come nel caso di cui alla guida in stato di ebbrezza, prima della soglia del penalmente rilevante sia previsto un valore alcolemico (0,5 – 0,8 g/L) per cui è previsto un illecito amministrativo.

In secondo luogo la Corte ritiene che pur in presenza di una sentenza di proscioglimento per non punibilità la sanzione amministrativa della sospensione della patente di guida debba essere applicata, anzi debba essere applicata dallo stesso giudice penale.

La questione è opinabile e sicuramente merita di essere approfondita: certamente è vero che la sentenza dibattimentale che si conclude con l’applicazione dell’art. 131-bis c.p. accerta la sussistenza del reato e la sua attribuibilità all’imputato, ma è pur sempre vero che si tratta di una sentenza di assoluzione ai sensi dell’art. 530 cpp, per cui non vedo come il giudice possa applicare la sanzione amministrativa accessoria che dovrebbe essere rimessa alla competenza del Prefetto come nel caso di sentenza di proscioglimento per prescrizione del reato.

In caso di annullamento con rinvio alla Corte di appello per la sola valutazione della applicabilità dell’art. 131-bis c.p. mi pare di capire che si formi il giudicato sulla responsabilità penale dell’imputato con conseguente impossibilità di dichiarare la prescrizione nel giudizio di rinvio.

Filippo Poggi

La CEDU e la nozione di genocidio

La Corte EDU – chiamata in causa da un ex ufficiale dei servizi di sicurezza lituani – (caso Vasiliauskas / Lithuania n. 10/2015) con sentenza della Grande Camera del 20.10 u.s. è ritornata a definire i limiti entro i quali si possa parlare di crimine di genocidio. In questo caso specifico essa ha ritenuto che la condanna intervenuta a carico del ricorrente è contraria all’art. 7 della Convenzione (nulla poena sine lege) tanto più che, all’epoca dei fatti contestati, anche nel diritto internazionale non si prevedeva che gli atti di genocidio comprendessero anche azioni commesse contro i membri di un gruppo politico e i partigiani, dunque, non potevano essere considerati vittime di genocidio.

Effettivamente, il ricorrente, che si era reso responsabile di delitti nei confronti di partigiani; era stato condannato per genocidio dopo la modifica del codice penale lituano avvenuta nel 2003 per i fatti risalenti al 1953. Applicazione retroattiva contraria alla Convenzione europea, ha stabilito Strasburgo.

Ottobre 2015

Nota Avv. E. Oropallo

Il caso Contrada: ultimo atto

Con sentenza del 14.4.2014 (Contrada / Italia n. 3) la CEDU aveva già condannato l’Italia per violazione dell’art. 7 della Convenzione in base al quale “nessuno può essere condannato per un’azione o un’omissione che al momento in cui fu commessa non costituisse reato secondo il diritto interno o secondo il diritto internazionale” in riferimento alla condanna per il reato di concorso esterno ad associazione di stampo mafioso ritenuto da Strasburgo non sufficientemente chiaro all’epoca dei fatti contestati al Contrada. Di qui la condanna dell’Italia a corrispondere un indennizzo per danni morali di € 10.000,00. A parte la condanna pecuniaria comminata all’Italia, la sentenza è particolarmente interessante in quanto – in base alla nostra stessa legge penale – essa potrebbe aprire la strada per un giudizio di revisione della condanna riportata in Italia dal Contrada.

Contro la detta sentenza l’Italia ha fatto ricorso alla “Grande Camera”, massimo organo giurisdizionale della Corte. Ricorso respinto in quanto i Giudici hanno ritenuto che non sussistevano le condizioni necessarie perché non si poneva un problema importante relativo alla applicazione o all’interpretazione della Convenzione o un problema di rilevanza generale, così come prevede la normativa della CEDU. Pertanto, la sentenza impugnata è diventata definitiva e potrà essere fatta valere dal ricorrente nei confronti dell’Italia.

Ottobre 2015

Nota Avv. E. Oropallo

Particolare tenuità del fatto e giudizio di cassazione

In allegato la sentenza appena depositata della Seconda Sezione Penale che mi è stata segnalata dalla cara amica e collega Sandra Vannucci.

Nella motivazione si rileva che la causa di non punibilità del fatto ex art. 131-bis del codice penale potrebbe essere rilevato anche di ufficio nel giudizio di cassazione ex art. 609, comma 2 c.p.p. quando non sarebbe stato possibile dedurlo avanti alla Corte di Appello (ma potendo è molto meglio presentare dei motivi aggiunti nei termini) facendo applicazione dell’art. 129 c.p.p. (ma è controversa l’applicabilità della norma in quanto testualmente l’art. 129 non fa riferimento alle cause di non punibilità).

Infine occorre notare lo scrupolo della Cassazione nel computare il periodo di sospensione del processo ai fini di “sterilizzare” la prescrizione anche con riferimento ad un passaggio che merita di essere segnalato: è stato computato anche un periodo di sospensione di due mesi in un caso in cui il difensore aveva chiesto il differimento del processo per legittimo impedimento professionale, istanza non accolta tanto che si era proceduto all’istruttoria ma il giudice aveva dichiarato la sospensione della prescrizione e la relativa ordinanza non era stata impugnata con la sentenza. E’ necessario quindi fare parecchia attenzione a questi passaggi apparentemente solo secondari ma che nel giudizio di legittimità possono risultare decisivi.

Filippo Poggi

Violazione dell’art. 684 cp e risarcimento del danno

In questa ordinanza, di particolare interesse anche per il penalista, la Prima Sezione Civile della Suprema Corte rimette alle sezioni unite la questione della esatta portata della possibilità di richiedere al giudice civile (cui si chiede di accertare incidenter tantum la sussistenza della contravvenzione di cui all’art. 684 del codice penale) il risarcimento per la pubblicazione arbitraria di atti del procedimento penale anche al di fuori dell’ipotesi di diffamazione.

Una questione che deve essere presa in considerazione, atteso che l’art. 684 c.p. per la sua pena quasi irrisoria e soggetta a oblazione non ha mai svolto alcuna azione deterrente, mentre una causa civile per risarcimento danni potrebbe meglio consigliare al giornalista atteggiamenti improntati al rigoroso rispetto dei limiti del diritto di cronaca.

Filippo Poggi

Consigli sulla scelta del difensore e abuso di ufficio

In questa recentissima pronuncia della Quinta Sezione Penale della Suprema Corte viene affrontato e risolto il reato gravissimo (anche sotto un profilo etico e deontologico) del consiglio sulla scelta del difensore di fiducia fatta da un ufficiale di polizia giudiziaria (divieto codificato dall’art. 25 disp. att. cpp) in concorso con un avvocato (abuso di ufficio per avere prodotto un ingiusto vantaggio patrimoniale nonché falso ideologico sui verbali arresto), fatto ancora più grave quando avvenga in danno di persone arrestate e comunque private della libertà personale. Una sentenza che merita quindi piena condivisione.

Filippo Poggi

Libero esercizio della professione forense nell’UE

(Corte di Giustizia UE, Grande Sezione, sent. 17.7.2014)

Recentemente il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Bologna, ha deciso di applicare rigorosamente la norma che prevede per gli avvocati che abbiano ottenuto l’iscrizione all’Albo in altro paese dell’UE. Si parla degli avvocati assistiti, indifferentemente dalla loro nazionalità, anche se si tratta di cittadini italiani – laureati in Italia – e che abbiano ottenuto l’iscrizione all’Albo degli avvocati in Romania o in Spagna. Paesi nei quali l’iscrizione all’Albo è ottenibile con il conseguimento della laurea in giurisprudenza, senza dover superare alcun esame, come avviene oggi in Italia. Il CdO di Bologna vuole mettere fine a quello che viene configurato come un vero e proprio “abuso di diritto” che penalizza chi in Italia può iscriversi all’Albo nazionale degli Avvocati solo dopo un periodo di formazione e il superamento dell’esame.

Ricordo che la Corte di Giustizia di Lussemburgo già si è occupata della vicenda più volte, ribadendo in una sua recentissima sentenza emessa dalla Grande Sezione (sentenza del 17.7.2014 cause unite C- 58/13 e 59/13) come deve essere interpretata la direttiva 5/98 trasposta dall’Italia nel proprio sistema interno con il d.lgs. del 2 febbraio 2001 n. 96.

L’intervento della Corte è stato provocato da un ricorso pregiudiziale presentato dal CNF il quale era stato sollecitato dal CdO di Macerata che aveva rigettato la richiesta di iscrizione all’Albo presentata da due cittadini italiani che, dopo aver conseguito la laurea in Giurisprudenza in Italia, hanno ottenuto entrambi una laurea in giurisprudenza in Spagna e iscritti successivamente, su  loro richiesta, all’Ordine degli Avvocati di Santa Cruz de Tenerife.

La CdG nella sentenza richiamata ha ricordato come la direttiva comunitaria ha lo scopo di facilitare l’esercizio permanente della professione di avvocato in uno Stato membro diverso da quello nel quale è stata acquisita la qualifica professionale. A tale riguardo la Corte – ricorda che tale direttiva istituisce un meccanismo di mutuo riconoscimento dei titoli professionali degli avvocati migranti che desiderino esercitare con il titolo conseguito nello Stato membro di origine, ribadendo che l’unico requisito cui deve essere subordinata l’iscrizione dell’interessato nello Stato membro ospitante è la presentazione all’autorità di questo Stato di un certificato di iscrizione presso l‘autorità dello Stato membro di origine.

In effetti – scrive la Corte – compete al cittadino europeo il diritto di scegliere, da un lato, lo Stato membro nel quale desiderano acquisire il loro titolo professionale e dall’altro, quello in cui hanno intenzione di esercitare la loro professione. Diritto che nasce, in un mercato unico, dal rispetto delle libertà fondamentali garantite dai Trattati.

Il fatto che il cittadino di uno Stato membro abbia scelto di acquisire un titolo professionale in un altro Stato membro, diverso da quello in cui risiede, allo scopo di beneficiare di una normativa più favorevole non consente, di per sé, di ritenere che il fatto costituisca abuso di diritto.

Conclude la CdG che l’art. 3 della direttiva 98/5 non prevede in alcun modo che l’iscrizione, presso l’autorità competente dello Stato membro ospitante, possa essere subordinata alla condizione che venga svolto un periodo di pratica come avvocato nello Stato membro d’origine.

Anche se in qualche paese dell’UE sia più facile conseguire l’iscrizione all’Albo degli avvocati, non può il CdO sottrarsi all’obbligo di iscrizione – sia pure alle condizioni previste dalla norma interna-. D’altra parte, bisogna ricordare che non di privilegio si può parlare ma di diritto che spetta ad ogni cittadino europeo, anche all’avvocato italiano che decida di lavorare in altro paese dell’UE.                       Se vogliamo parlare, in prospettiva, di uno Stato federale, nel nostro sistema universitario si potrà anche creare un percorso professionale che abiliti il laureato in giurisprudenza a chiedere l’iscrizione all’Albo degli avvocati, eliminando, dunque, il gap che oggi esiste con altri paesi dell’UE che hanno una legislazione più elastica.

Il fatto è che il nostro Paese non è ancora pronto ad una vera e propria riforma della professione forense finché si resta ancorati a stereotipi storicamente superati.

Ottobre 2015

(Avv. E. Oropallo)

Istanza di rinvio per concomitante impegno professionale ed immediata decisione del giudice

In questa interessante sentenza della VI Sezione Penale della Suprema Corte si afferma il principio di diritto secondo il quale all’obbligo del difensore di comunicare immediatamente le ragioni del legittimo impedimento per concomitante impegno professionale, corrisponde l’onere del giudice (pur sfornito di sanzione processuale) di provvedere senza indugio alla decisione sull’istanza senza attendere la celebrazione dell’udienza nel quadro della migliore collaborazione tra i diversi soggetti processuali (anche ai fini della disposizioni organizzative ex art. 465 cpp di competenza del presidente del collegio o del giudice).

Una questione che dovrebbe trovare ingresso in sede di periodica revisione del nostro Protocollo di gestione dell’udienza penale.

Filippo Poggi

Più ampi poteri al PM europeo

Recentemente, partecipando ad una riunione dei Ministri della Giustizia dell’UE, il Ministro Orlando si è pronunciato a favore di più ampi poteri al PM europeo che potrebbe far uso anche delle intercettazione telefoniche rilevando che, comprimendo questa possibilità di ricorrere a tale strumento di indagine, si finirebbe per ridurre la Procura stessa ad un soggetto poco più che ornamentale.

Piuttosto fredda è stata la reazione di diversi paesi, tra cui la Germania ma il Ministro Orlando – come si legge in D & G – ha ribadito la necessità di dotare il PM europeo di strumenti efficienti, senza sottovalutare le potenti organizzazioni criminali che proprio grazie alle frodi all’UE hanno rafforzato il loro potere.

Sembra davvero sorprendente che il Ministro Orlando abbia mutato opinione o, meglio, abbia preso le distanze dai dubbi che una parte della magistratura che ha fatto una tiepida accoglienza al progetto della costituzione di una Procura europea. Val la pena dare qualche informazione ai colleghi che sono, purtroppo, lontani dalle dinamiche europee. Eppure si tratta di un tema di cui in Europa si dibatte dopo che, nel dicembre 2009 il Trattato di Lisbona ne ha delineato la figura. In verità, già prima del Trattato di Lisbona, in assenza di un esplicito appiglio normativo, l’idea di una Procura europea per la tutela penale degli interessi finanziari dell’UE nel quadro di uno spazio giudiziario comune aveva suscitato vivaci dibattiti. Con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona si è realizzato concretamente questo disegno. L’art. 86 TFUE prevede infatti che “per combattere i reati che ledono gli interessi finanziari dell’Unione, il Consiglio, deliberando mediante regolamenti secondo una procedura legislativa speciale può istituire una procura europea partendo da Eurojust”. Si tratta di una disposizione che, seppur generica e solo programmatica, ha il merito di introdurre il formale riconoscimento di una figura istituzionale da molti ritenuta indispensabile per un efficace contrasto alle frodi contro il bilancio UE. Fin dal 2010 si è, dunque, cominciato a lavorare attorno a questo progetto anche per delineare i rapporti tra questa Procura e le Procure nazionali. L’auspicio è che – se l’obiettivo è solo quello di tutelare gli interessi finanziari dell’Unione europea – questo non venga a sconvolgere i delicati equilibri processuali, a scapito della libertà e dei diritti individuali. Il rischio è reale per cui è necessario individuare correttamente quali siano i poteri effettivi di questa Procura, competente per tutto il territorio dell’Unione europea con poteri sia di indagine che di impulso dell’azione penale.

Un dibattito che è ancora in corso ma che sembra essere comunque in dirittura d’arrivo. Per gli avvocati penalisti soprattutto ma anche per tutta l’avvocatura il dovere professionale di conoscere di questa figura istituzionale così delicata per gli sviluppi che si possono ipotizzare in un prossimo futuro dell’Unione.

Ottobre 2015

(Avv. E. Oropallo)