Nuove modifiche della Legge Pinto

Come se non fosse bastata l’ultima modifica della legge Pinto (l. 134/12), oggi è intervenuta anche la legge di stabilità a rendere più difficile il percorso per ottenere un indennizzo per l’indebita durata del processo. L’obiettivo del Governo infatti non è quello di utilizzare le risorse per ridurre i tempi dei processi e mettersi al passo con l’Europa ma quello di ridurre i costi.

Rispetto alle norme attuali che prevedono un indennizzo da 500 a 1.500 Euro per ogni anno di ritardo, si passa da un minimo di 400 ad un massimo di 800 Euro ma vi può essere un’ulteriore decurtazione del 20% se le parti nel processo sono più di 10 o del 50% se sono più di 50. Senza tener conto che la Corte EDU ha indicato parametri diversi e superiori la cui applicazione era ritenuta ormai recepita anche dalle Corti nazionali. E qui v’è il rischio di andare ad ingolfare di nuovo il lavoro della CEDU nel caso di un indennizzo ritenuto insoddisfacente. Ma altri paletti sono posti dalla legge di stabilità.

L’art. 1 bis e 2 stabilisce che chi, pur avendo esperito i rimedi preventivi di cui all’art. 1 ter – ha subito un danno patrimoniale o non patrimoniale a causa dell’irragionevole durata del processo – ha diritto ad un’equa riparazione. Quali siano questi “rimedi preventivi” lo chiarisce l’articolo successivo. Si tratta dell’avvio dell’azione nelle forme del procedimento sommario di cognizione di cui agli artt. 702 – bis e seguenti cpc. Ancora, è considerato rimedio preventivo la richiesta di passaggio dal rito ordinario a quello sommario ai sensi art. 183 bis cpc mentre nelle cause in cui non si applica il rito sommario, compresi i giudizi in appello, costituisce “rimedio preventivo” la presentazione di istanza di decisione a seguito di trattazione orale ai sensi art. 281 sexies cpc, sia  quando l’appello prevede un giudice monocratico, sia quando il Tribunale giudica in composizione collegiale. Insomma vi sono due categorie di cittadini: una prima che ricorrendo a questi rimedi preventivi potrà domani vedersi liquidato un indennizzo mentre altri cittadini che hanno scelto la forma ordinaria del processo non hanno alcuna possibilità di avvalersi della Legge Pinto. In effetti l’art. 2 – così come modificato – prevede l’inammissibilità della domanda per l’equa riparazione nel caso in cui il soggetto non abbia esperito i rimedi preventivi previsti dall’art. 1 ter.

Come è stato giustamente osservato, per quanto riguarda il processo civile, paradossalmente si chiede al cittadino di rinunciare al rito ordinario se vuole garantirsi la possibilità di chiedere eventualmente il risarcimento del danno in base alla legge Pinto. Un vero e proprio attacco al diritto di difesa perché come ha osservato l’avv. De Stefano questo vuol dire “castrare l’istruttoria in quanto l’abbandono del rito ordinario per il rito sommario comporta l’impossibilità di portare nuove prove, esponendo l’avvocato ad una azione di responsabilità allorquando la causa avrebbe richiesto una piena e compiuta istruttoria”.

Tutto ciò è davvero aberrante in quanto se la legge nazionale prevede di poter utilizzare il rito ordinario, non si può penalizzare chi intende farne uso. Insomma, da una parte continueremo ad avere una giustizia lumaca ma dall’altra avremo una nuova e illegittima limitazione del diritto riconosciuto sulla carta al cittadino di richiedere un indennizzo per la durata del processo.

E’ evidente come l’avvocatura non possa accettare questa scelta che penalizza pesantemente l’accesso alla giustizia, ponendo seri problemi anche sotto il profilo costituzionale e nel rapporto con le altre Corti europee, in primis con la Corte EDU. Speriamo che ci sia qualche giudice disposto a proporre un quesito alla Corte Costituzionale per esaminare la legittimità di questa norma. L’ultima sorpresa la riserva l’art. 5 sexies. Il comma 6 prevede che l’erogazione degli indennizzi agli aventi diritto avviene nei limiti delle risorse disponibili, mentre i punti 1) 2) 3) pongono a carico dell’avente diritto ulteriori passaggi che vengono ad allungare i tempi di pagamento, al termine dei quali l’amministrazione ha ancora 6 mesi di tempo per procedere ai pagamenti, sempre che sia completa la documentazione pervenuta all’ente (comma 5) per cui solo a scadenza di questo ulteriore termine gli aventi diritto finalmente potranno procedere agli atti esecutivi o proporre ricorso per l’ottemperanza del provvedimento, con ulteriore allungamento dei termini. Tengasi conto che la Corte EDU ha sanzionato l’Italia numerose volte anche per i ritardi accumulati nei pagamenti. Alla luce delle modifiche introdotte, anche quest’ultima chance verrà a mancare o ad essere praticata scarsamente. Insomma il quadro è completo: si continuano a limitare i diritti dei cittadini, in quanto lo Stato è incapace di riformare un sistema giudiziario che da molti anni è lo specchio dell’arretratezza culturale e politica di questo paese.

Febbraio 2016

(Avv. E. Oropallo)

La laicità dello Stato consente il licenziamento disciplinare della lavoratrice che rifiuta di togliersi il velo islamico.

Così ha deciso la Corte EDU esaminando il caso del licenziamento di una lavoratrice (assistente sociale in un ospedale) perché ostentava il velo e rifiutava di toglierlo (Ebrahimiac c. Francia ric. 64846/11 – sentenza del 26.11.2015). In effetti la ricorrente aveva sostenuto un’indebita interferenza dell’amministrazione nella propria scelta religiosa.

Va ricordato che recenti riforme in Francia avevano vietato di indossare il velo e una sentenza del Consiglio di Stato vietava ai dipendenti pubblici di ostentare la propria fede religiosa con simboli (compresi indumenti). Divieto fondato sui principi di neutralità e di laicità dello Stato per cui la Cedu riteneva di escludere la violazione dell’art. 9 della Carta richiamata dalla ricorrente.

Questa sentenza ci sembra di notevole portata generale perché legittima il diritto dello Stato di limitare l’uso dei simboli religiosi all’interno di strutture collettive e pubbliche. Il che significa che l’esclusione vale per tutti i simboli religiosi e non solo per chi professa la religione mussulmana.

In un altro giudizio, ormai vecchio di qualche anno, la Corte aveva ritenuto illegittima l’esposizione del crocefisso in un’aula di una scuola pubblica ma la Corte – in seduta plenaria – successivamente era stata di avviso contrario. Segno evidente di una visione non certo equitativa e obiettiva rispetto alle diverse confessioni religiose.

Febbraio 2016

(Avv. E. Oropallo)

Prostituzione e violazione del foglio di via

In questa recentissima sentenza del Tribunale Penale di Forlì è stata fatta corretta applicazione dei principi che sovraintendono alla disapplicazione da parte del giudice ordinario, degli amministrativi illegittimi, per cui nel caso di specie è stato disapplicato di decreto del Questore che disponeva la misura di prevenzione nei confronti di una prostituta in quanto non conforme alla legge (non ravvisandosi alcuna possibile violazione di norme penali), con conseguente assoluzione perché il fatto non sussiste. In motivazione richiami alla giurisprudenza penale della Cassazione cui può aggiungersi in senso conforme – Cass. sez. I, 17/09/2014 n. 44221, Est. Novik.

Filippo Poggi

La particolare tenuità del fatto – un esame esaustivo della Cassazione

In questa sentenza di straordinario interesse della Quinta Sezione Penale (Pres. Nappi) vengono esaminate e risolte con un approccio, almeno ad un primo esame del tutto condivisibile, le molte aporie e contraddizioni insite nel testo normativo che ha introdotto l’art. 131-bis del codice penale tanto che la soluzione è stata l’annullamento senza rinvio della sentenza di assoluzione impugnata dal pm con la formula “perché l’azione penale non poteva essere esercitata, trattandosi di persona non punibile ai sensi dell’art. 131-bis codice penale”.

La Suprema Corte ritiene che la causa di non punibilità possa essere rilevata anche ex officio nel giudizio di legittimità ai sensi dell’art. 609, comma 2 c.p.p., mentre appare di grandissimo interesse pratico, per quanto riguarda l’applicazione dell’istituto nella fase delle indagini preliminari, che “ove il fatto sia particolarmente tenue deve essere disposta l’archiviazione a prescindere dall’accertamento di responsabilità (come prescrive l’art. 411 c.p.p.” (pag. 18 della motivazione) con notevolissime ricadute pratiche in tema di onere motivazionale del decreto di archiviazione, che quindi non dovrà essere una mini-sentenza.

Filippo Poggi

Non esistono intercettazioni cattive

In allegato un recentissimo e piuttosto sconfortante (ma del tutto condivisibile) commento dottrinale sul punto in cui si trova oggi il difensore ma prima ancora il cittadino, in materia di captazioni telefoniche e ambientali. Una situazione che la prassi rende senza via di uscita senza un intervento deciso del legislatore che limiti fortemente la possibilità di impiegare questo (troppo) insidioso strumento di indagine.

Lo sconforto aumenta con la lettura della motivazione della Quarta Sezione Penale in cui sono state ritenute pienamente utilizzabili captazioni disposte su autovetture diverse da quelle indicate ed autorizzate dal gip nonché su utenze cellulari e finanche telefoni cellulari diversi da quelle richieste ed autorizzate.

Filippo Poggi

Decisione del riesame e termine perentorio per il deposito della motivazione

In questa sentenza molto interessante e riccamente motivata della Seconda Sezione Penale si affrontano tematiche introdotte dalla nuova normativa in tema di applicazione e riesame delle misure cautelari personali.

In particolare la Suprema Corte ha deciso (annullando senza rinvio e disponendo la scarcerazione dell’imputato) che il termine di 45 gg. per il deposito della motivazione del riesame ex art. 309 c.p.p. deve intervenire da quanto è stata assunta la deliberazione del giudice collegiale come risulta dal dispositivo e dal verbale della camera di consiglio e non dal termine come in questo caso eventualmente successivo, in cui il dispositivo è stato depositato in cancelleria. In questo modo è assicurato all’imputato di avere le decisione nel termine di 10 gg dalla ricezione degli atti e la motivazione delle ragioni della sua detenzione entro i successivi 45 gg decorrenti appunto per solito dalla data di celebrazione della camera di consiglio, essendo nella esperienza pratica pressoché inesistenti le ipotesi in cui la camera di consiglio per la decisione si prolunghi per più giorni (naturalmente per il giudice non si applica la sospensione feriale dei termini processuali che invece vale per pm e difensori).

Filippo Poggi

Principio di offensività e coltivazione di cannabis indica

In questa sentenza della VI sezione penale (estensore il consigliere Fidelbo autorevole componente delle Sezioni Unite e Direttore del Massimario) viene affermato in modo molto chiaro e preciso a quali condizioni può essere considerata offensiva e quindi punibile la coltivazione della cannabis, nel caso di specie annullando con rinvio la sentenza di condanna per una coltivazione di piantine giunte ad un grado di maturazione molto arretrato (poco più che germogli) con un bassissimo grado (0,1%) di THC e senza avere tenuto adeguatamente conto della valutazioni del consulente della difesa che escludeva una concreta efficacia drogante.

Filippo Poggi

La CEDU e il principio del libero accesso alla giustizia

Come abbiamo scritto in una nostra nota di qualche giorno fa, la Corte EDU ha modificato il regolamento di procedura stabilendo precise norme per poter ricorrere alla Corte.

Innanzitutto è previsto che ogni ricorso depositato a norma dell’art. 34 vada presentato esclusivamente su formulario fornito dalla Cancelleria.

Il ricorso tra l’altro (art. 1/e) deve contenere una esposizione succinta e leggibile dei fatti o delle allegate violazioni della convenzione e delle argomentazioni pertinenti (art. 1/f) e un’esposizione succinta e leggibile che confermi il rispetto da parte del ricorrente dei criteri di ricevibilità enunciati nell’art. 35 c. 1 della Convenzione. Tutte le informazioni previste devono consentire alla Corte di determinare, senza consultare ulteriori documenti, la natura e l’oggetto del ricorso (cd. principio di autosufficienza).

Il ricorrente comunque può allegare al formulario del ricorso un documento al massimo di 20 pagine per integrare ed esporre in dettaglio i fatti e le allegate violazioni della Convenzione e le argomentazioni pertinenti.

Inoltre (art. 3/1)il formulario di ricorso deve essere firmato dal ricorrente o dal suo rapp.te corredato a) dalle copie dei documenti riguardanti le decisioni giudiziarie o i provvedimenti denunciati, che siano o meno di natura giudiziaria; b) dalle copie dei documenti e delle decisioni che dimostrino che il ricorrente ha esaurito le vie di ricorso interno ed osservato il termine richiesto dall’art. 35/1 della Convenzione (termine di sei mesi dalla decisione interna definitiva). Inoltre (art. 3/2) i documenti presentati a sostegno del ricorso devono figurare in un elenco per ordine cronologico. In caso di non rispetto degli obblighi elencati dai paragrafi da 1 a 3, il ricorso non sarà esaminato dalla Corte che può comunque richiedere al ricorrente, prima di decidere, di presentare entro un determinato termine ogni informazione o ogni documento utile nella forma e nella maniera ritenuta opportuna (art. 5.2). Ancora il ricorso ai fini art. 35/1 della Convenzione, si considera presentato nella data in cui un formulario – che soddisfi i requisiti previsti nel presente articolo è inviato alla Corte, salvo che la Corte non decida una diversa data, se lo ritiene giustificato. Infine il ricorrente (art. 7) deve informare la Corte di ogni cambiamento d’indirizzo e di ogni fatto pertinente per l’esame del suo ricorso.

Invece di semplificare, a noi sembra che il nuovo regolamento finisca per rendere più accidentato il percorso per chi voglia lamentare un torto subito dalla giurisdizione di uno dei paesi aderenti alla Convenzione.

Innanzitutto, ove prima il ricorso si intendeva depositato appena pervenuto in Cancelleria, oggi esso si ritiene depositato se sono state formalmente rispettate tutte le istruzioni fornite (par. 5/1).

Il ricorso dunque, prima ancora di essere ritenuto ammissibile o meno, sarà esaminato dalla Cancelleria per accertare se esso rispetti o meno i requisiti di forma sopra enunciati.

Esame che non sospende il termine dei 6 mesi previsti dalla Convenzione per cui  -se ci fosse qualche omissione o irregolarità segnalata dalla Cancelleria – si dovrà provvedere onde evitare che maturi il termine previsto dei sei mesi che chiude le porte alla ricevibilità del ricorso. E’ opportuno, dunque, per evitare questa probabile tagliola, depositare il ricorso appena si abbia notizia del provvedimento finale del giudice interno.

Successivamente si passa alla fase in cui il Giudice unico (art. 27) ai sensi art. 35 verifica se sussistono o meno le condizioni di ricevibilità. Rientra nei poteri del Giudice dichiarare il ricorso irricevibile e rigettarlo se ritiene che la decisione possa essere presa senza esame complementare. Nel caso in cui non lo ritenga irricevibile o non lo cancelli dal ruolo, lo trasmette ad un comitato composto da tre giudici o ad una Camera per un esame complementare. Esame che ancora una volta può portare ad una dichiarazione di irricevibilità.

In caso contrario, il Comitato o la Camera deciderà anche sul merito o meno che non ritenga di rimettere la decisione alla Grande Camera (17 giudici) quando la vicenda solleva un problema relativo all’interpretazione della Convenzione o se la soluzione possa portare ad un contrasto con una decisione già resa anteriormente dalla Corte.

Come si vede, un percorso piuttosto accidentato che può fermarsi già nella prima fase per aver violato le regole previste per la redazione del ricorso. Il motivo di questo irrigidimento sta nel fatto che, purtroppo, è aumentato notevolmente il numero dei ricorsi che perviene alla Corte che per carenza di mezzi è costretta a bloccare sul nascere la marea dei ricorsi. Si pensi, per fare un paragone, che il bilancio della Corte è di un sesto rispetto a quello della Corte di Giustizia UE malgrado quest’ultima esamini un numero di ricorsi notevolmente inferiore, non essendo previsto fino ad ora il ricorso individuale. Ma questo non giustifica affatto questa chiusura operata dal regolamento che tende a limitare l’accesso alla Corte.

Se i ricorsi sono effettivamente aumentati in questi ultimi anni è anche perché sono aumentati i casi di violazione dei diritti umani da parte degli Stati. Allora, se si tengono a cuore i diritti dei cittadini e si vuole far sopravvivere una istituzione sovranazionale indipendente che possa far cessare l’abuso e condannare lo Stato inadempiente, allora bisogna che nell’ambito del Consiglio d’Europa, si rafforzi sia sul piano economico che sul quello istituzionale questo organismo perché sia garantito il rispetto di quei diritti per cui è giustificata la stessa esistenza della Corte che finora è stato l’unico avamposto a livello continentale contro gli abusi dei singoli Stati, in questi tempi di crisi, sempre più frequenti.

Insomma, se l’Europa vuole continuare ad essere faro di civiltà e culla dei diritti umani, bisogna, per rendere effettiva questa tutela, rafforzare la Corte EDU che con le sue decisioni ha arginato fino ad ora le violazioni da parte degli Stati membri.

Febbraio 2016

Nota a cura avv. E. Oropallo

Ribaltamento della assoluzione in appello e rinnovazione delle testimonianze

In allegato l’ordinanza del 20/1/2016 che rimette alla Sezioni Unite la questione secondo la quale sia o meno rilevabile di ufficio in Cassazione ai sensi dell’art. 609 c.p.p. il caso di condanna pronunciata in grado di appello dopo una sentenza di assoluzione di primo grado, senza procedere alla rinnovazione delle prova testimoniale decisiva.

La questione è di grande interesse forse non tanto per la rilevanza statistica della eventualità prospettata dalla Corte, quanto per ridefinire nell’ordinamento interno lo statuto della prova dichiarativa formata fuori dal contrattadditorio o avanti a giudice diverso a quello che deve decidere nel merito (alla luce della giurisprudenza della Corte Edu).

In un convegno dello scorso fine settimana una dottrina autorevole ha ripreso spunto da questa ordinanza per ribadire che (forse) l’unica soluzione accettabile con lo standard probatorio di cui all’art. 533 c.p.p. è che in caso di diversa valutazione del giudice di appello rispetto a quello di primo grado che pronunciato sentenza di assoluzione, la sentenza venga annullata (giudizio rescindente) e il processo rimesso al giudice di primo grado.

La causa sarà trattata all’udienza del 28/04/2016 Relatore Conti.

Filippo Poggi

Nuove regole ricorso CEDU

Dal primo gennaio è entrato in vigore il nuovo regolamento di procedura della Corte Europea dei diritti dell’uomo così come modificato nel 2014 che ha introdotto un nuovo schema di ricorso che si può scaricare sul sito della CEDU. L’art. 47 prevede, in particolare, che il ricorso possa essere presentato solo tramite questo formulario prevedendo già il rigetto del ricorso in caso di mancato rispetto degli obblighi elencati nei paragrafi da 1 a 3 del nuovo articolo. Ai fini dell’art. 35 § 1 della Convenzione, il ricorso si considera presentato nella data in cui un formulario di ricorso che soddisfi ai requisiti previsti dal presente articolo è inviato alla Corte, facendo fede il timbro postale. Inoltre è richiesto che il ricorrente firmi la procura all’avvocato nel formulario utilizzato e che informi la Corte di ogni cambiamento d’indirizzo.

Gennaio 2016

Nota a cura Avv. E. Oropallo

Sangue infetto: Italia condannata per eccessiva durata del processo

Ancora una volta la Corte EDU con sentenza del 14.1.2016 ha sanzionato il Governo Italiano per eccessiva durata del processo. La vicenda prende le mosse da 19 ricorsi presentati da 889 cittadini in base all’art. 34 Convenzione EDU, in quanto vittime di trasfusioni di sangue infetto o utilizzo di emoderivati. La legge italiana n. 210/1992 prevede un indennizzo per chi abbia subito una menomazione permanente della integrità psico-fisica da vaccinazioni obbligatorie per legge. Tale indennizzo è stato espressamente esteso anche ai soggetti che risultano contagiati a seguito di somministrazioni di sangue e suoi derivati, nonché agli operatori sanitari. La Corte EDU, richiamandosi a precedenti decisioni, evidenzia che le procedure civili attivate dai ricorrenti hanno avuto una durata irragionevole. Durata che si è prolungata, secondo i casi, da cinque anni e tre mesi a dodici anni di giudizio, da sette anni a quattordici anni e sette mesi per due gradi di giudizio sino a quattordici anni ed un mese per tre gradi di giudizio. Ritiene, quindi la Corte che vi sia stato una violazione dell’art. 6 della Convenzione, oltre a ritenere che l’indennizzo non fosse effettivo per cui ha condannato l’Italia anche per violazione della norma che assicura il diritto alla tutela giurisdizionale effettiva tenuto conto che in alcuni casi ci son voluti ben 12 anni per un solo grado di giudizio per ottenere l’indennizzo.

La Corte ha preso atto dell’art. 27 bis della C. n. 114/14 introdotta dal Governo italiano che ha previsto una procedura accelerata per chiudere tutti i processi entro il 31.12.2017 per cui i ricorrenti potranno promuovere nuovo ricorso alla Corte limitando l’ulteriore violazione, ove i processi in corso non terminassero entro quella data.

Ben magra soddisfazione per quelle famiglie che hanno visto morire i propri congiunti senza ottenere il risarcimento previsto da una legge dello Stato.

Ancora una volta – e sta accadendo ormai spesso- la Corte EDU, oberata da migliaia di ricorsi, buona parte proveniente da cittadini italiani, rinunzia al suo ruolo di garante dei diritti confidando su una incerta soluzione ventilata dallo Stato Italiano. Se lo Stato non ha rispettato in questi anni il diritto del cittadino, si può credere veramente nella promessa dello Stato che rinvia ancora una volta di 2 anni il pagamento effettivo dell’indennizzo? Ci sarà ancora la Corte EDU a riparare il torto subito? Le istituzioni europee – soprattutto la Corte EDU – sono in crisi anche per il notevole aumento dei ricorsi – che riguarda non solo i paesi UE ma anche altri paesi per cui è opportuno filtrare i ricorsi eliminando quelli inammissibili e consentendo così la possibilità di esaminare quelli che abbiano seri elementi di fondatezza. Si tratta di riorganizzare tutta la struttura giudiziaria della Corte e alcuni passi in questo senso già sono stati fatti ma ne parleremo in una prossima nota.

Fonte D&G del 15.1.2016

Nota a cura Avv. E. Oropallo

Adesione dell’Italia al Brevetto UE

Anche l’Italia aderisce al brevetto UE rivedendo la opposizione già svolta in passato per cui è vincolata dai regolamenti n. 1257/2012 relativo all’attuazione di una cooperazione rafforzata nel settore dell’istituzione di una tutela brevettuale unitaria e dal regolamento n. 1260/2012.

In effetti non era comprensibile la netta opposizione manifestata in passato basata essenzialmente sulla scelta del regime linguistico limitato all’inglese, al francese e al tedesco. Con decisione n. 1753/2015 la Commissione del 30.9.2015 si è espressa favorevolmente alla adesione al progetto formulata dall’Italia che diventa così il 26° Stato membro parte del brevetto europeo. I due regolamenti sono entrati in vigore in Italia il giorno successivo alla pubblicazione della decisione sulla GU UE avvenuta il 1°.10.2015

Gennaio 2016

Nota a cura avv. Oropallo

Il caso Contrada: ultimo atto

Qualche mese fa ricordavamo che la CEDU aveva ritenuto che il Contrada non poteva essere condannato per il reato di concorso esterno in associazione mafiosa in quanto all’epoca – rilevava la Corte EDU – “il reato non era sufficientemente chiaro e prevedibile”.

In effetti il Contrada – ex funzionario del Sisde – era stato condannato in Italia in via definitiva a 10 anni di reclusione. Di qui la previsione che il Contrada avrebbe fatto ricorso in Italia per avere la revisione del processo, una volta che la Corte EDU avesse accertato che non sussiste il reato (nulla poena sine lege).

Come in effetti è avvenuto, ma con esito sfavorevole per il ricorrente che si vede confermata dalla Corte d’Appello di Caltanissetta la condanna precedente già confermata anche dalla Corte di Cassazione.

In effetti ci troviamo difronte ad un palese e macroscopico contrasto tra il Giudice italiano e la Corte EDU davvero sorprendente in quanto ci si aspettava che il Giudice italiano recepisse il principio della sentenza EDU cancellando la sentenza comminata all’ex funzionario del Sisde. Non vediamo come si possa ipotizzare che dopo molti anni –considerato finalmente non colpevole l’imputato dalla Corte che tutela i diritti fondamentali dell’uomo e le libertà civili – possa essere ritenuto colpevole dal Giudice interno.

In definitiva, come autorevolmente scritto non si può tralasciare che “un’aspettativa di giustizia così autorevolmente espressa dalla Corte Edu non può essere ragionevolmente tradita da un “manipolo” di giudici italiani” (D&G del 19.11.2015 a firma di Gianluca Denora).

Sugli aspetti inquietanti di questa travagliata vicenda giudiziaria ritorneremo presto con un convegno che dedicheremo al caso ma anche al reato di concorso esterno in associazione mafiosa sul quale crediamo che la Corte Costituzionale sia richiamata a pronunciarsi.

Gennaio 2016

Commento a cura Avv. E. Oropallo

La disapplicazione dei termini di prescrizione da parte della Cassazione dopo la sentenza Corte UE in proc. Taricco

In allegato le motivazioni depositate ieri della rilevantissima sentenza n. 2210/2016 della Terza Sezione della Corte di Cassazione ud. 17/09/2015 (Est. Scarcella) che quale conseguenza della sentenza Taricco ha ritenuto di potere disapplicare i termini massimi di prescrizione in materia di frodi fiscali (questione di competenza UE).

Si tratta di una sentenza con un apparato argomentativi di notevole complessità in tema di ricognizione della portata del diritto comunitario e della giurisprudenza della Corte Costituzionale.

Nella medesima fattispecie astratta la Corte di Appello di Milano ha invece investito della questione di legittimità costituzionale la Consulta (contro-limiti costituzionali rispetto all’applicazione interna del diritto comunitario in materia penale sostanziale).

E’ un tema affascinanante (ma anche un poco preoccupante) che di certo sarà oggetto di approfondimento a tutti i livelli nei prossimi mesi.

Filippo Poggi

Giurisprudenza – Tribunale di Sorveglianza di Bologna – Difensore di fiducia

Carissimi Colleghi,

sono ad segnalarVi, allegata alla presente,  la sentenza n. 488 emessa in data 25 settembre 2015 dalla Prima Sezione della Corte di Cassazione, depositata il 8.1.2016, che stabilisce che se dagli atti della fase esecutiva risulta individuato un difensore di fiducia non si deve provvedere alla nomina di un difensore d’ufficio nel successivo procedimento di sorveglianza.

Il caso si riferisce a un provvedimento del Magistrato di Sorveglianza di Bologna che ordinava il differimento provvisorio dell’esecuzione della pena nei confronti di un soggetto in stato di grave deficienza immunitaria, trasmettendo gli atti al Tribunale di Sorveglianza in sede, che, a sua volta, fissava con decreto l’udienza in camera di consiglio designando , ex art.97 c.p.p., altro difensore, ai sensi dell’art. 655, comma 5, c.p.p nonostante l’istanza fosse stata presentata dal difensore di fiducia del condannato.

Nelle more, il difensore di fiducia  depositava una nota con cui dichiarava, quale difensore del condannato, di non rinunciare alla sospensione feriale dei termini processuali.

Con un successivo atto, il Tribunale di Sorveglianza fissava una nuova udienza, in occasione della quale rigettava l’eccezione di omessa notifica al difensore di fiducia del decreto di fissazione dell’udienza sollevata dal medesimo avvocato, che lamentava di aver ricevuto solo la notifica per il condannato, difeso nella fase di cognizione.

Il Tribunale di Sorveglianza di Bologna rigettava l’eccezione ed anche le istanze di differimento dell’esecuzione della pena.

Avverso tale  provvedimento, ricorre per Cassazione il difensore del condannato, chiedendone l’annullamento per violazione di legge e vizio di motivazione.

Contesta il difensore l’erronea ed inopportuna nomina di un difensore d’ufficio, pur in presenza di un difensore di fiducia (egli, infatti, dichiara di aver ricevuto l’ordine di esecuzione del condannato, di aver inoltrato istanza di differimento obbligatorio della pena, di aver ricevuto il provvedimento di rinvio dell’esecuzione, di aver depositato nota riportante la volontà di avvalersi dei termini feriali).

Rileva la Suprema Corte che l’art.656, comma 5, c.p.p. dispone che il decreto di sospensione della pena detentiva, ove manchi il difensore nominato per la fase dell’esecuzione, è notificato al difensore che ha assistito il condannato nella fase del giudizio.

Ciò al fine di consentire la proposizione delle domande di concessione di misure alternative alla detenzione dalla stessa previste.

Siffatta disciplina è speciale rispetto a quella contenuta nell’art.655, comma 5, c.p.p., a tenore della quale per tutte le altre notifiche da effettuare in fase di esecuzione è prescritta la designazione di un difensore d’ufficio da parte del pubblico ministero in assenza di nomina da parte dell’interessato.

Pertanto – ritiene la suprema Corte – poiché l’avvocato ricorrente, ancorché non nominato difensore di fiducia per la fase dell’esecuzione, ha proposto delle istanze successivamente alla notifica dell’ordine di carcerazione, sulle quali il Tribunale si è pure pronunciato, la conclusione è che il difensore in questione non poteva vedersi negato il diritto a ricevere la notifica dell’avviso di fissazione di udienza ed a partecipare alla medesima.

Da tale sentenza in sintesi si deduce la non legittimità della prassi del Tribunale di Sorveglianza di Bologna che a fronte di istanza di formulata dopo la notifica dell’ordine di carcerazione con contestuale sospensione ex art. 656 c.p.p. notificato al difensore di fiducia della fase di merito che propone istanza di misura alternativa senza provvedere a formalizzare la nuova nomina a difensore di fiducia , non riceve il decreto di fissazione dell’udienza in quanto viene (erroneamente) nominato un difensore di ufficio.

Ettore Grenci insieme al Direttivo si sta occupando della situazione al fine di cercare di  risolvere il problema, ma sin da subito suggerirei di eccepire la nullità della mancata notifica al difensore di fiducia  alla luce della errata prassi seguita dal Tribunale di Sorveglianza di Bologna.

Un caro saluto.

Gian Luca Malavasi

 

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 25 settembre 2015 – 8 gennaio 2016, n. 488
Presidente Cortese – Relatore Novik

Rilevato in fatto

  1. Con decreto emesso il 14 maggio 2014, il Magistrato di sorveglianza di Bologna ordinava il differimento provvisorio dell’esecuzione della pena nei confronti di H.L. in relazione allo stato di grave deficienza immunitaria del detenuto e trasmetteva gli atti al Tribunale in sede per le determinazioni di competenza. Read more “Giurisprudenza – Tribunale di Sorveglianza di Bologna – Difensore di fiducia”

Astensione dei Penalisti – 30.11 – 4.12.2015 – Manifesto UCPI

In allegato il manifesto dell’Unione creato in occasione dell’astensione dalle udienze proclamata per questa settimana.

In considerazione degli interventi delle Sezioni Unite i contorni del diritto all’astensione sono stati esattamente definiti come diritto di libertà associativa e non possono essere in alcun modo sindacati dal giudice tuttavia occorre tenere presente alcune avvertenze:

La comunicazione dell’astensione può essere fatta dal difensore direttamente in udienza anche a mezzo di un sostituto, in questo caso non ci sono problemi di sorta, tuttavia se il giudice non dovesse disporre il rinvio occorre eccepire immediatamente la nullità, diversamente soggetta a sanatoria.

In alternativa, l’astensione può essere comunicata con dichiarazione depositata o inviata nella cancelleria del giudice almeno due giorni prima dell’udienza e comunicata anche agli avvocati delle altre parti processuali. E’ importante l’esatta osservanza delle forme prescritte dal codice di autoregolamentazione perché in caso diverso il giudice è legittimato a non concedere il rinvio.

E’ consentita l’astensione nei processi dibattimentali ed in tutti quelli in cui la presenza del difensore è solo facoltativa (abbreviato in appello, opposizione archiviazione etc.) tuttavia se si astiene solo il difensore della parte civile o della persona offesa prevale l’interesse dell’imputato alla rapida definizione del suo processo, in buona sostanza se non si astiene espressamente anche il difensore dell’imputato il processo sarà celebrato comunque.

In caso di imputato assistito da due difensori è necessario che entrambi si astengano formalmente anche se non mancano decisioni recentissime di segno contrario (Cfr. Cass. 32990/2015).

Buona astensione a tutti.

Filippo Poggi

Ebbrezza e prelievo ematico

In questa interessantissima sentenza della Quarta Sezione Penale si affronta finalmente un tema negletto in tema di accertamento dello stato di ebbrezza tramite il prelievo ematico in termini tanto esaustivi quanto del tutto condivisibili alla luce del dettato normativo e della giurisprudenza delle Sezioni Unite: la Corte richiama la tradizionale distinzione fatta tra prelievi con finalità (anche) terapeutiche che possono sempre essere utilizzati nel processo penale, per quanto riguarda i prelievi con finalità esclusivamente medico legali premesso in buona sostanza che se il prelievo è stato fatto significa che la persona non ha manifestato un “dissenso espresso” (questione sulla quale forse si potrebbe discutere), tuttavia è certo che in quel caso il prelievo deve essere preceduto dall’avvertimento di farsi assistere da un difensore di fiducia, adempimento che deve essere eseguito a pena di nullità a regime intermedio,  la quale deve essere eccepita prima della pronuncia del giudizio di primo grado (secondo l’insegnamento delle SU) e che non si sana neppure in caso di richiesta e ammissione al giudizio abbreviato.

Filippo Poggi

Il diniego alla assistenza di un legale di fiducia viola l’art. 6 §§ 1 e 3 Cedu

Lo stabilisce recente arresto della Grande Camera di Strasburgo del 20.10.2015 (ric. 25703/11 Caso Dvorski c. Croazia) la quale ha modificato la sentenza resa in primo grado.

Il ricorrente, a seguito della denuncia degli abitanti di un quartiere in cui erano avvenuti 3 omicidi, lamentava che già nell’interrogatorio di garanzia gli era stata vietata l’assistenza del legale di fiducia nominato dai suoi genitori. La Corte richiamando la normativa internazionale, ribadisce il diritto dell’indagato a nominare un avvocato di fiducia fin dall’inizio (fermo, indagini etc..) e fino alla conclusione del processo. L’impossibilità, dunque, di consultare il proprio avvocato di fiducia costituisce una violazione dell’equo processo. E’ importante, dunque, fin dall’inizio delle indagini che l’indagato chieda di nominare un avvocato di fiducia, essendo un suo imprescindibile diritto che va rispettato in ogni caso, solo che non sia possibile rintracciare, compatibilmente con i termini della giustizia, l’avvocato nominato dall’indagato.

Fonte D & G

Novembre 2015

Nota a cura avv. Oropallo