Dichiarazione di incostituzionalità dell’art. 656 c.p.p. e sospensione degli ordini di esecuzione (emessi o anche eseguiti)

In allegato l’interessante provvedimento della Procura Generale di Napoli che dopo approfondita riflessione sulle conseguenza della dichiarazione di incostituzionalità dell’art. 656 c.p.p. di talché devono essere sospese le condanne fino a 4 anni di pena detentiva, ha deciso che trattandosi di illegittimità costituzionale quindi la norma cessa di esistere con effetto ex tunc, tutti gli ordini di esecuzione devono essere sospesi e i condannati scarcerati, mentre gli ordini non ancora eseguiti dalla polizia giudiziaria vengono restituiti all’Ufficio della Procura Generale.

L’interpretazione delle conseguenza della dichiarazione di incostituzionalità non sono unanimi (anche se a chi scrive sembra l’unica corretta), tuttavia altre Procure hanno orientamenti diversi, ritenendo, per esempio, che debba essere attivato il Giudice dell’Esecuzione.

L’amico e caro collega Piero Monteleone la scorsa settimana ci ha fatto avere un provvedimento del Procuratore di Rimini Dott.ssa Melotti conforme all’orientamento sopra citato, che ha disposto l’immediata scarcerazione del condannato.

Filippo Poggi

Lesioni personali stradali – art. 590-bis cod. pen. – certificazione medica e criteri medico-legali

In allegato alla presente, la copia della richiesta di archiviazione presentata dal PM di Forlì ed accolta dal GIP in sede in un caso di lesioni stradali ex art. 590-bis del codice penale in un caso in cui la gravità delle lesioni risultava solo da certificazione medica del medico generico senza la prescrizione o la indicazioni di terapie o accertamenti diagnostici (normalmente certificazioni rilasciate più che altro a scopo risarcitorio in ambito RCA) a fronte di un referto del Pronto Soccorso che certificava una prognosi di guarigione individuata in 10 gg.

Tuttavia la durata della malattia deve essere saldamente ancorata alle norme del codice penale ed alla criteriologia medico legale.

La conclusione è stata quindi che una volta esclusa la ricorrenza del reato di cui all’art. 590-bis del codice penale (che la giurisprudenza edita dalla Suprema Corte ritiene una fattispecie autonoma e non una circostanza aggravante del reato di lesioni colpose) il PM ha derubricato la originaria contestazione in quella di cui all’art. 590 del codice penale (lesioni colpose lievissime) improcedibili per difetto di querela.

Una decisione che merita sicura condivisione (ma anche apprezzamento visto che evita di sottoporre a processo penale persone che potrebbero malauguratamente subire danni gravissimi caso di condanna, attesa la sanzione amministrativa della revoca della patente) e che, per quanto mi risulta, risulta in linea con le conclusioni cui normalmente giungono anche i medici legali.

Filippo Poggi

Lecito il licenziamento delle lavoratrici in gravidanza

Una legge nazionale che prevede il licenziamento della lavoratrice in stato di gravidanza nell’ambito di una procedura di licenziamento collettivo non è contraria al diritto comunitario.

Con questa sentenza (causa C 103/2016) la Corte di Giustizia ha rimosso ogni dubbio sulla legittimità della normativa vigente in Spagna. Nell’ambito di una controversia sorta a seguito del licenziamento di una lavoratrice in stato di gravidanza, il giudice spagnolo aveva sollevato la questione del possibile contrasto con le norme della direttiva 92/85 che stabilisce apposite misure a tutela della salute delle donne gestanti, puerpere o in periodo di allattamento. La Corte ha ritenuto infondato questo dubbio, rilevando che il divieto di licenziamento mira a prevenire gli effetti dannosi che può generare per la lavoratrice un licenziamento per motivi connessi al loro stato ma non lo vieta qualora l’atto sia fondato su motivi non connessi allo stato di gravidanza della lavoratrice. “Tali motivi – precisa la Corte – possono essere economici, tecnici o relativi all’organizzazione o alla produzione dell’impresa e devono essere indicati per iscritto dal datore di lavoro il quale deve comunicare alla lavoratrice gestante i criteri oggettivi per designare il personale da licenziare” per cui la tutela risarcitoria, invocata dalla lavoratrice licenziata, riguarda solo l’ipotesi in cui il recesso sia fondato sulla condizione personale della lavoratrice. La sentenza non avrà alcun impatto sulla normativa italiana, più favorevole alla lavoratrice, laddove impedisce il licenziamento della lavoratrice madre anche in caso di procedura collettiva, a meno che non ci sia una chiusura per l’intera azienda.

Fonte: Il Quotidiano del Diritto

Marzo 2018

Nota a cura

Avv. E. Oropallo

A breve il telepass europeo

Se ne parla ormai da anni e dal 2004 c’è anche una direttiva che lo prevede, attuata cinque anni dopo con una decisione della Commissione UE (la n. 750/2009).                            Così la UE si prepara ad una soluzione che dovrebbe arrivare in porto per la fine dell’anno che comprende anche modifiche al sistema dell’Eurovignette per i veicoli pesanti.

Modifiche sono ancora possibili: il dibattito sulla proposta della Commissione è previsto per il 24 aprile: il voto sul dossier è previsto per il 15 maggio in commissione Trasporti per essere poi licenziato a luglio in sessione plenaria a Strasburgo. Quindi toccherà alla Commissione, insieme al Consiglio e al Parlamento, arrivare al testo finale: verosimilmente, tutto si concluderà in autunno, di certo entro la fine dell’anno.

Altro problema è il recupero dei pedaggi non pagati dagli stranieri.Il testo prevede un meccanismo analogo a quello delle infrazioni più gravi e collegamenti telematici tra gli Stati per rintracciare i proprietari dei veicoli per notificare loro la richiesta di pagamento. Per quanto concerne la Eurovignette obbligatoria per il trasporto pesante, si cercherà di definire criteri di tariffazione più omogenei tenendo conto del principio del “chi usa paga” e del “chi inquina paga”.

Fonte

Quotidiano del diritto

Marzo 2018

Nota a cura

Avv. E. Oropallo

Rassegna della giurisprudenza penale della cassazione – 2017

In allegato l’interessantissima Rassegna della Giurisprudenza di legittimità dell’anno 2017 a cura dell’Ufficio del Massimario.

Uno strumento di lavoro straordinariamente utile e molto bene organizzato, senza trascurare la Dottrina e soprattutto di pensare con la nostra testa, ci sono orientamenti giurisprudenziali alcuni dei quali meno condivisibili, dei quali occorre prendere atto senza per nulla rinunciare a contribuire al loro mutamento con tutte le sollecitazioni che l’Avvocatura è in grado di dare.

Filippo Poggi

Ricorso per cassazione dell’imputato e necessità della difesa tecnica

In allegato la motivazione della sentenza della Cassazione a Sezioni Unite depositata il 23.02.2018 che ha chiarito, con argomenti del tutto condivisibili, come la possibilità per l’imputato di proporre ricorso per cassazione (ivi compresi motivi aggiunti e memorie) sia stata eliminata dall’ordinamento dalla Legge n. 103/2017 con riferimento a qualsiasi tipo di ricorso, anche a quelli avverso provvedimenti in materia de libertate ex art. 311 c.p.p. (possibilità invece sostenuta dalla Sezione remittente).

Ne consegue che il ricorso può essere proposto solo avvalendosi di un avvocato iscritto all’apposito albo dei patrocinatori avanti alle Magistrature Superiori.

Resta naturalmente intatta la possibilità per l’imputato di presentare e sottoscrivere personalmente ogni altro tipo di impugnazione tra cui in primis l’atto di appello.

La soluzione è appunto condivisibile dato l’estremo tecnicismo (e formalismo) che caratterizza il ricorso per cassazione (esasperato da pronunce della Suprema Corte auto-difensive, volte a limitare anche con interpretazioni forzate della norme “l’assalto” alla Cassazione).

Tuttavia la necessaria qualificazione degli avvocati iscritti all’albo speciale non appare affatto scontata, in considerazione del fatto che nella quasi totalità dei casi (che riguarda anche chi scrive) si è diventati cassazionisti per mera anzianità, per decorso cioè del termine di 12 anni dall’iscrizione all’albo degli avvocati, dimostrando di avere semplicemente esercitato con continuità la professione (senza alcun distinguo tra settore civile, penale e amministrativo).

In questo contesto colpisce molto, non certo favorevolmente, che la nostra Legge Professionale che aveva previsto una disciplina transitoria per l’iscrizione all’albo speciale per gli avvocati esercenti al momento dell’entrata in vigore del nuovo Ordinamento Professionale.

L’art. 22 della Legge n. 247/2012 prevedeva che potessero iscriversi all’albo speciale gli avvocati maturassero il requisito entro tre anni dall’entrata in vigore della legge, quindi entro il 2 Febbraio 2016, sennonché in ogni occasione utile qualche lobby ha costantemente approfittato per prolungare questo termine attualmente fino a 6 anni quindi entro il 2 Febbraio 2019 (tre interventi normativi di cui l’ultimo contenuto nella Legge di Stabilità approvata lo scorso dicembre), vanificando di fatto l’esame per diventare cassazionista (mi rendo conto che sia poco elegante trattare l’argomento da parte di un cassazionista “per anzianità” ma tant’è).

E’ anche vero che da un esame che non ha alcuna pretesa di scientificità e tanto meno completezza, ma solo dalla lettura di un po’ di sentenze (i ricorsi della parte pubblica sono di numero incomparabilmente inferiore), anche i Pubblici Ministeri sembrano avere qualche difficoltà col ricorso per cassazione che non di rado viene giudicato inammissibile, a volte su sollecitazione della stessa Procura Generale presso la Corte di cassazione.

Filippo Poggi

Alcooltest e termine per sollevare eccezione di mancato avviso di farsi assistere dal difensore

In allegato una recentissima sentenza della Quarta Sezione Penale n. 7686/2018 (Est. Montagni) in tema di termine ultimo per sollevare l’eccezione di mancato avviso all’indagato/imputato di farsi assistere da un difensore in caso di alcooltest (ma anche di prelievo ematico in ospedale).

La questione è stata a suo tempo affrontata e risolta dalle Sezioni Unite con la pronuncia n. 5396/2015 che individua una nullità di ordina generale a regime intermedio che può essere eccepita prima della deliberazione della sentenza di primo grado.

La sentenza in esame ribadisce un punto che, almeno per chi scrive, non era stato ben compreso (anche se le Sezioni Unite sono chiare anche se il punto non viene inserito nella massima enunciata ma nel seguito della motivazione), cioè che in caso sia stato emesso decreto penale di condanna, tale atto va equiparato alla sentenza di primo grado di talché l’eccezione (e tutte quelle dello stesso tipo) deve essere al più tardi sollevata con l’atto di opposizione a decreto penale.

Niente affatto priva di interesse l’affermazione contenuta in altra pronuncia sempre della Quarta Sezione Penale 16.11.2017 n. 1235/2018 (Est. Gianniti) per cui l’avviso della possibilità di farsi assistere dal difensore deve essere dato prima che venga avviata la proceduta di accertamento strumentale, di talché il mancato avviso rileva anche nel caso di rifiuto a sottoporsi all’esame (nel caso di specie però la questione è stata rigettata perché avendo l’imputato scelto il rito abbreviato, ciò comportava la sanatoria della nullità).

Filippo Poggi

L’astensione del difensore nel processo

Nel caso in cui il difensore aderisca all’astensione dichiarata dalle Camere Penali, detta adesione deve essere esaminata dal giudice procedente e non può essere messa in discussione la sua validità solo perché la volontà di astenersi è comunicata a mezzo fax. Lo ha ribadito la Corte di Cassazione con sentenza della IV Sez. Penale  n. 3861/18, depositata il 26 gennaio.

Sentenza con la quale la Corte ha dichiarato fondato il ricorso presentato dal difensore dell’imputato annullando la sentenza emessa dalla Corte d’Appello e trasmesso gli atti alla Corte per l’ulteriore corso. Ha argomentato la Corte che non è giustificabile il fatto che la Corte di merito non abbia menzionato nella impugnata sentenza la volontà di astensione formulata dal difensore – in quanto si tratta di un “diritto avente sicuro fondamento costituzionale” per cui la mancata concessione del rinvio dell’udienza determina una nullità per mancata assistenza dell’imputato ai sensi art. 178 c.p.p..

Ancora, osserva la Corte, che l’art. 3 del codice di autoregolamentazione recita testualmente che “l’atto contenente la dichiarazione di astensione può essere trasmesso e depositato nella Cancelleria del Giudice o nella segreteria del PM” e dunque deve ritenersi ritualmente formulata la richiesta trasmessa a mezzo fax dal difensore alla Cancelleria del giudice competente trattandosi di uno strumento tecnico che “dà assicurazioni in ordine alla ricezione dell’atto da parte del destinatario, attestata dallo spesso opparecchio di trasmissione mediante il cd. OK”.

Fonte D & G febbraio 2018

Nota a cura avv. E. Oropallo

Precluso all’Avvocato ogni contatto con la controparte priva di difensore

E’ quanto affermato dalle SS.UU. della Corte di Cassazione con sentenza n. 2273 depositata il 31 gennaio 2018. L’avvocato ricorrente aveva sostenuto che il fatto – ossia l’incontro con il padre della minorenne violentata in un processo di violenza sessuale a carico di un sacerdote- non costituisca illecito disciplinare ai sensi art. 41 del codice deontologico forense.

Al contrario, secondo i giudici di legittimità, la tesi sostenuta dal ricorrente era del tutto infondata in quanto non teneva conto delle previsioni di cui ai commi 1 e 2 del citato art. 41, nella parte in cui viene fatto divieto all’avvocato di mettersi in contatto con la controparte che sia assistita da un collega e consentano al medesimo di avere contatti e con altre parti solo in presenza del loro difensore che non equivale a riconoscere, in caso di assenza di un difensore, che tali contatti siano possibili senza alcuna limitazione per cui, tenendo conto della delicatezza del caso, il professionista avrebbe dovuto prudentemente astenersi da qualsiasi contatto con il padre della vittima.

Comportamento, a nostro avviso, ancora più riprovevole in quanto l’avvocato non aveva tenuto conto della particolare vulnerabilità del padre della bambina violentata.

Tenuto conto della gravità del fatto, appare, ci si consenta esprimere il nostro stupore, davvero leggera la sanzione della censura erogata al professionista.

Fonte: D&G febbraio 2018

Nota a cura Avv. Oropallo

Modifica dei giudizi di impugnazione

In allegato il testo del D. Lgs. n. 11/2018 che entrerà in vigore il prossimo 6 marzo 2018.

Non mancano disposizioni notevole importanza, tra le quali quelle volte a limitare il potere di impugnazione del Pubblico Ministero (che è bene ricordare, è atto totalmente discrezionale non essendo stabilito alcun criterio legale che la parte pubblica debba osservare per prendere le sue determinazioni), per cui viene abrogata la possibilità di appellare contro le sentenze di condanna al solo fine di ottenere un inasprimento sanzionatorio (appello solo in caso di modifica del titolo di reato o esclusione di aggravanti ad effetto speciale) come pure viene abrogato l’appello incidentale del PM mentre il PG potrà impugnare solo quando il Procuratore della Repubblica abbia prestato acquiescenza alla sentenza di primo grado (quindi non si vedranno più casi di sentenze impugnate contemporaneamente dal Procuratore della Repubblica e dal Procuratore Generale), ovvero quando abbia avocato a sé il processo.

In caso di sentenze per reati di competenza del Giudice di Pace pronunciate in grado di appello è esclusa la possibilità di ricorrere per cassazione per vizio della motivazione.

Molto importante dal punto di vista pratico l’introduzione dell’art. 165-bis disp. att. c.p.p. che sostanzialmente recepisce le circolari ministeriali sulla formazione dei fascicoli da inviare al giudice del gravame (formati a cura del giudice o del presidente del collegio), elevandole a livello di norma primaria, intervento assai opportuno perché in precedenza talvolta le circolari restavano lettera morta.

Al solito mancano disposizioni transitorie.

Filippo Poggi

Computo della sospensione della prescrizione

In allegato due interessanti sentenza della Suprema Corte in tema di corretto computo della sospensione della prescrizione, espressione di orientamenti consolidati ma che non sempre abbiamo presenti nell’attività processuale.

Nella prima sentenza (Cass. 5481/2018) si afferma il principio per cui in caso di processo plurisoggettivo (v. pag. 3) se anche uno solo dei difensori degli imputati chiede rinvio per astensione dalle udienze, la sospensione della prescrizione si estende a tutti i coimputati, anche quelli assistiti da difensori che non si astengono, a meno che questi si oppongano formalmente al rinvio e chiedano ex art. 18 c.p.p. la separazione della posizione del proprio assistito per la trattazione immediata della causa (richiesta assistita dal favor separationis).

Nella seconda pronuncia (Cass. 3671/2018) si precisa che in caso di cause concorrenti cause di rinvio del processo, una dipendente dall’imputato o dal suo difensore e l’altra determinata da esigenze processuali, prevale la seconda e non si tiene conto del periodo di sospensione (nella fattispecie il difensore aveva aderito alla astensione dalle udienza ma la stessa udienza avrebbe comunque dovuto essere rinviata per mancata notifica all’imputato del decreto di citazione – v. pag. 6).

Filippo Poggi

Cassazione e poteri di rideterminazione di ufficio della pena

In allegato l’interessante (ma anche un poco preoccupante) motivazione resa della Prima Sezione Penale della Cassazione avverso un provvedimento del Giudice dell’Esecuzione proposto dal carissimo amico e collega Avv. Antonio Giacomini.

In buona sostanza, il Giudice dell’Esecuzione dopo avere revocato le condanne per i reati concorrenti di ingiuria e danneggiamento siccome depenalizzati, ha rideterminato la pena per il residuo reato di minaccia semplice in € 200,00 di multa.

La Corte Suprema, premesso un lungo excursus giurisprudenziale, e facendo riferimento al novellato art. 620, comma 1 lett. l) c.p.p. come novellato dalla Legge n. 103/2017, ha ritenuto di potere direttamente riterminare la pena senza rinvio al giudice del merito.

E tuttavia non pare che nel provvedimento impugnato vi fossero quegli elementi per rideterminare la pena ”sulla base delle statuizioni del giudice del merito” ovvero pare che esse siano state fraintese.

Il Giudice dell’Esecuzione aveva errato infliggendo una pena appunto di € 200,00 di multa facendo riferimento alla nuova cornice edittale che prevede la pena della multa fino a € 1032,00 mentre per i reati commessi prima del 2013 la pena era quella della multa fino a € 51,00.

Non appare quindi esattamente motivata un pronuncia che si sostituisce al giudice di merito applicando una pena pari a quella massima in vigore all’epoca del fatto, mentre il Giudice dell’Esecuzione aveva (sia pure erroneamente) individuato una pena pari a circa 1/5 del massimo edittale.

La questione in questo caso è minima ma segnala certamente una tendenza del giudice di legittimità a sconfinare merito, senza problemi di sorta, quando si tratta di rideterminare una pena, mentre ricusa sistematicamente ogni rivisitazione del fatto e della motivazione (non si ritiene di potere comparare ricostruzioni alternative nemmeno al fine di ravvisare il ragionevole dubbio che imporrebbe un annullamento con rinvio), come pure non è avara di pronunce di inammissibilità quando il ricorso che sostenga il travisamento della prova non contenga (integralmente riprodotto) o non alleghi il verbale integrale della prova travisata (il che pare in contrasto con la norma che semplicemente impone di indicare specificamente l’atto processuale (v. anche protocollo CNF/Corte di Cassazione 17.12.2015) nonché la Circolare del Ministero della Giustizia – Direzione Generale della Giustizia Penale 16.05.2016 per le formazioni dei fascicoli da inviare alla Suprema Corte in cui vengono indicati precisamente gli atti indispensabili ai sensi dell’art. 164, comma 4 disp. att. c.p.p.).

Filippo Poggi

Atti sessuali con minorenne – revoca misura cautelare e parere persona offesa

In allegato l’interessante (ma niente affatto condivisibile) motivazione della sentenza resa della Terza Sezione Penale della Cassazione che ha ritenuto inammissibile l’istanza di revoca o sostituzione della misura cautelare personale non previamente comunicata alla persona offesa dal reato di cui all’art. 609-quater del codice penale (atti sessuali con minorenne).

La Corte di Cassazione per superare il chiaro dettato della norma con riferimento al concetto di reati commessi con violenza, essendo questa pacificamente esclusa nella fattispecie di cui all’art. 609-quater del codice penale (che appunto segna il confine – al di fuori delle ipotesi previste dall’art. 609-bis – con la fattispecie di cui all’art. 609-bis rubricata appunto come “Violenza sessuale”) fa riferimento alla Direttiva EU 2012/29/UE che è stata recepita nell’ordinamento interno e sulla base della quale dovrebbe interpretarsi la norma di cui all’art. 299 c.p.p.

L’operazione ermeneutica appare scorretta (la difesa aveva invocato infatti la violazione delle Preleggi) in quanto non appare possibile, quando non vi siano dubbi sul preciso significato testuale della norma che dovrebbe sempre essere il primo criterio interpretativo, utilizzare altri argomenti per snaturare (in questo caso) il preciso significato normativo del termine “violenza alla persona” come questo è assunto nell’ordinamento interno, sostituendolo con un altro, di derivazione eurounitaria, asseritamente più ampio, fino ad arrivare alla conclusione (certamente una analogia in malam partem in materia processuale penale, ma con rilevantissimi effetti sulla libertà personale) che siccome si sono conseguenze dannose per la parte lesa, allora vi è stata certamente una violenza, magari di natura morale o psicologica.

Si potrebbe senz’altro convenire sulla opportunità di inserire il reato tra quelli per cui è prevista la comunicazione dell’istanza alla persona offesa (mentre è certo che dovrebbe essere eliminata l’individuazione per categoria a favore di una individuazione per specifici titoli di reato), ma in questo caso l’attività di interpretazione della norma sembra avere invaso le prerogative che spettano solo al legislatore.

Come si legge in motivazione, il GIP aveva ritenuto ammissibile l’istanza di revoca/sostituzione della misura rigettandola poi nel merito.

Una sentenza forse non abbastanza meditata che si spera resti isolata nella giurisprudenza di legittimità.

Filippo Poggi

Richiesta di revoca/sostituzione della misura e informazione alla persona offesa

In allegato un importante sentenza (che non mi pare sia stata oggetto di particolare diffusione) che è stata segnalata con molto favore da uno dei Relatori al Convegno, il Consigliere Marco Alma, sulla giurisprudenza di legittimità 2017, tenutosi lunedì scorso a Bologna.

In buon sostanza la sentenza (nello stesso senso anche la n. 36160/2017 dello stesso Relatore ma con diverso Collegio) conclude per una interpretazione della norma dell’art. 299 c.p.p. che prima facie sembra disporre a pena di inammissibilità dell’istanza, un obbligo di previa informazione alla persona offesa dai reati (tutti) commessi con violenza alla persona, tramite notifica della richiesta di revoca alla persona offesa ovvero presso il suo difensore ove nominato.

Un onere che sacrifica e non poco i diritti dell’indagato di vedere trattata in tempi brevi le questioni de libertate, quindi la necessità di compiere una approfondita esegesi della norma che deriva dal dovere di adeguamento dell’ordinamento interno alla Direttiva comunitaria 2012/29/UE che aveva finalità e oggetto assai più limitati.

Di qui la conclusione del giudice di legittimità che perviene ad annulla la decisione del Tribunale del Riesame che aveva dichiarato inammissibile una istanza di revoca di misura cautelare personale, in quanto il giudice del merito deve compiere una interpretazione della norma conforme al diritto eurounitario che escluda oneri generalizzati di notifica alle persone offese da reati anche con violenza alla persona quando questi non possano dirsi che detti reati comportino seri rischi di pericolo di intimidazioni, ritorsioni, o vittimizzazione secondaria reiterata della persona offesa (v. pagg. 8-9 della motivazione).

Qualora il giudice del merito ritenga e motivi sulla insussistenza di tali rischi, l’istanza dovrà essere considerata pienamente ammissibile e valutata nel merito.

Idem in caso di impossibilità ovvero anche di errore scusabile nella individuazione della persona offesa, ove non perfettamente generalizzata ed i dati non risultino chiari ed evidenti dal fascicolo processuale.

Filippo Poggi

Libertà di soggiorno nell’UE di coniugi dello stesso sesso

Lo afferma l’Avvocato Generale presso la Corte di Giustizia dell’UE nelle conclusioni relative alla causa C-673/16 dell’11.01.2018. Un cittadino rumeno e un cittadino statunitense, dopo aver convissuto per 4 anni negli USA, si trasferiscono a Bruxelles nel 2010 dove sono uniti in matrimonio. Nel 2012 la coppia – trasferitasi in Romania – chiede alle autorità rumene il rilascio dei documenti necessari affinché il coniuge potesse lavorare e soggiornare in modo permanente in Romania, in base alla direttiva 2004/38/CE che stabilisce la libera circolazione dei cittadini UE e dei loro familiari di circolare e soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri. Rifiutato il diritto di soggiorno da parte delle autorità rumene, dato che lo Stato rumeno non riconosce i matrimoni omosessuali, i due coniugi hanno proposto ricorso alla Corte Costituzionale rumena che ha chiesto alla CdG se al cittadino statunitense, in qualità di coniuge di un cittadino UE, debba essere concesso un diritto di soggiorno permanente in Romania.

Nelle sue conclusioni l’Avvocato Generale precisa che la problematica giuridica non riguarda la legalizzazione del matrimonio tra persone dello stesso sesso, bensì la libera di circolazione dei cittadini UE, che va riconosciuta anche se nel proprio ordinamento giuridico interno non è previsto il matrimonio tra omosessuali. Inoltre, l’Avvocato stabilisce che la direttiva richiamata, quella sulla libertà di circolazione, non prevede alcun rinvio al diritto degli Stati membri per la determinazione della qualità di “coniuge”, di conseguenza “tale nozione deve essere oggetto, nell’intera UE, di un’interpretazione autonoma e uniforme- osservando l’Avvocato Generale – che la nozione di “coniuge si riferisce ad un rapporto fondato sul matrimonio, sebbene sia neutra rispetto al sesso delle persone e indifferente al luogo in cui il matrimonio è stato contratto”.

Si tratta, ovviamente, di una interpretazione della norma europea da parte dell’Avvocato Generale, sulla quale si dovrà pronunciare la CdG ma, quando essa fosse confermata, ebbene non è difficile che solleverà di sicuro l’opposizione di quei paesi membri, soprattuto dell’Europa centrale, che ritengono di disapplicare la norma rispetto al loro ordinamento interno in nome della difesa dei loro principi religiosi senza parlare dei paesi dove l’omosessualità viene combattuta, o addirittura considerata un reato. E’ un segnale questo della discriminazione sessuale su cui meditare perché essa non cancelli quei diritti civili oggi riconosciuti dopo numerose battaglie contro ogni discriminazione sessuale, religiosa e sociale.

Fonte

D&G 17.1.2018

(Nota a cura avv. E. Oropallo)

Il GUP deve valutare l’inutilità del dibattimento e non l’innocenza dell’imputato

Lo ribadisce con sentenza n. 851/18 depositata l’11 gennaio u.s. la Corte di Cassazione che ha cassato, su ricorso del Procuratore Generale presso la Corte d’Appello di Bologna, la sentenza con la quale il GUP aveva emesso sentenza di non luogo a procedere perché il fatto non costituiva reato. La Corte ha in effetti ritenuto che la sentenza oggetto di gravame non risulta essere stata formulata secondo le regole dettate dall’art. 425 c.p.p. in quanto il giudicante – esorbitando dai poteri conferitigli – “ha proceduto ad una valutazione di merito circa la colpevolezza degli imputati senza neppure una furtiva osservazione sulla sostenibilità dall’accusa in dibattimento”. Secodo il costante dictum della Corte di Cassazione, il GUP, nel pronunciare sentenza di non luogo a procedere, ex art. 425 c.p.p., “deve valutare, sotto il profilo processuale, se gli elementi acquisiti risultino insufficienti, contraddittori o comunque non idonei a sostenere l’accusa in giudizio, non potendo procedere a valutazioni di merito del materiale probatorio ed esprimere, quindi, un giudizio di colpevolezza dell’imputato, essendogli inibito il proscioglimento in tutti i casi in cui le fonti di prova si prestino a soluzioni alternative….”.

Fonte

  1. & G. 15.1.2018

Gennaio 2018

(Nota a cura avv. E. Oropallo)

Lesione del diritto di difesa

Il caso. Il Tribunale di Napoli, accoglie la domanda di un avvocato volta ad ottenere il pagamento delle competenze professionali vantate nei confronti del convenuto che resta contumace nel giudizio di primo grado. Avverso la decisione di merito ricorre in Cassazione il soccombente, lamentando l’incompletezza dell’atto introduttivo del giudizio di merito a lui notificati. In effetti, l’atto depositato dal ricorrente era privo di alcune pagine rispetto all’atto depositato dall’avvocato. La Cassazione ha osservato innanzitutto che, ai fini della declaratoria della nullità, doveva essere presa in considerazione la copia autentica del ricorso notificato al ricorrente ex art. 702 bis c.p.c.. “E’ inevitabile – scrive dunque la Suprema Corte – il pregiudizio al diritto di difesa del convenuto a causa dei vizi …che producono  una nullità ex art. 164, commi 4 e 5 cpc, che poteva essere richiesta anche d’ufficio”.

Per questo motivo, secondo la Corte, il convenuto aveva tutto il diritto di far valere la nullità de qua come mezzo di gravame nel ricorso per Cassazione – con conseguente cassazione della sentenza impugnata – e rinvio al Tribunale di Napoli per la ripetizione di un nuovo giudizio di merito.

(Cass. Civ. sentenza  n. 283/18 depositata il 9.1.2018)

Fonte D & G

(Nota a cura avv. E. Oropallo)

Adesione dell’Avvocato all’astensione dalle udienze

La Corte di Cassazione (ordinanza n. 684/18 depositata il 12 gennaio u.s.) ha ritenuto che l’astensione dell’avvocato vada comunicata all’ufficio giudiziario esaminando un ricorso proposto dal professionista avverso la decisione assunta dalla Corte d’Appello di Napoli che aveva dichiarato improcedibile l’appello ex art. 348 c.p.c. per l’assenza della difesa dell’appellata alla prima udienza di causa. La Corte di Cassazione ha stabilito che la semplice conoscenza da parte del Giudicante dell’astensione degli avvocati dalle udienze, proclamata a livello nazionale, non fosse sufficiente per ottenere il rinvio della causa ad altra udienza perché, in base al codice di autoregolamentazione, l’adesione all’astensione va dichiarata personalmente, o tramite sostituto, all’inizio della trattazione della udienza oppure comunicata con atto scritto trasmesso o depositato nella Cancelleria del Giudice, oltre agli altri avvocati costituiti, almeno due giorni prima della data stabilita.

Fonte

D & G 22.1.2018

Nota a cura

(Avv. E. Oropallo)

 

 

Criteri della Procura Generale di Napoli sul concordato in appello

In allegato la Circolare sul Concordato sui motivi di appello elaborata della Procura Generale di Napoli che si segnala, qualunque possa essere la valutazione o la condivisione degli approdi cui giunge, per il notevole grado di approfondimento anche teorico della nuova normativa, del contemperamento tra l’uniformità tendenziale dei criteri da seguire e l’indipendenza del Sostituto Procuratore Generale in udienza (invero un po’ compressa dalla possibile attivazione di procedimenti disciplinari).

Filippo Poggi

Competenza del Giudice dell’Esecuzione Penale

In allegato una utile sentenza della Prima Sezione Penale n. 3438/2018 che compendia i criteri per determinare la competenza del Giudice dell’Esecuzione penale in caso  di pluralità di provvedimenti di condanna emessi da giudici diversi, eventualmente riformati in appello oltre alla ripartizione all’interno del medesimo Tribunale tra composizione monocratica e collegiale.

Nel caso in questione l’ordinanza è stata annullata per violazione della competenza funzionale del Tribunale in composizione monocratica in quanto l’art. 665, comma 4-bis c.p.p. si applica solo quando tutti i provvedimenti sono stati emessi dallo stesso Tribunale, diversamente, come nel caso in questione, si applica la regola generale (comma 4 primo periodo) per cui è competente il giudice che ha pronunciato il provvedimento divenuto irrevocabile per ultimo al momento della presentazione della domanda.

Filippo Poggi