Processo Civile Telematico

La possibilità della notificazione di atti presso la Cancelleria della Corte di Cassazione (Corte Cass. Sez. VI Civ. – ordinanza n. 709/15 depositata il 16.1) è subordinata alla duplice condizione della mancata elezione di domicilio in Roma da parte del ricorrente e della mancata indicazione, sempre da parte del ricorrente, dell’indirizzo di posta elettronica certificata, mentre ove questo requisito sussiste, si deve ritenere che, invece, il destinatario della notificazione del ricorso che intenda a sua volta notificare il controricorso non possa avvalersi della notificazione presso la Cancelleria della Corte, essendo egli tenuto ad eseguire la notificazione in forma telematica.  L’art. 370 c.p.c. al comma 2, stabilisce che “se il ricorrente non ha eletto domicilio in Roma ovvero non ha indicato l’indirizzo di posta elettronica certificata comunicato al proprio cliente, le notificazioni gli sono fatte presso la Cancelleria della Corte di Cassazione”. Di conseguenza, il Collegio ha ritenuto inesistente la notifica e dichiarato inammissibile il controricorso in quanto “non notificato”.

Agosto 2018

Nota a cura avv. Oropallo

Astensione avvocati e processo con detenuti – Corte costituzionale 4.07.2018

Il Tribunale di Reggio Emilia ha sollevato la questione di costituzionalità con due ordinanze (allegate) in relazione alle norme sui pubblici servizi (Legge n. 146/1990) sulla quale si basa il codice di autoregolamentazione delle astensione dalle udienze degli avvocati nel caso assistano imputati detenuti.

La questione sarà decisa della Corte costituzionale il 4.07.2018 (Giudice Relatore Amoroso) in cui l’Unione delle Camere Penali ha chiesto di intervenire ad opponendum.

Nel frattempo però la Cassazione con la sentenza pure allegata ha dichiarato la nullità dell’ordinanza del Tribunale Reggiano (impugnata dal Collega Avv. Luca Brezigar del Foro di Modena) perché la normativa prevede che il processo in caso di incidente di costituzionalità debba essere sospeso nella sua interezza (il giudice perde il potere di decidere la causa) mentre nella fattispecie AEMILIA è proseguito in quanto il collegio ha sospeso la decisione solo relativamente alla istanza di rinvio.

Staremo a vedere, anche perché vi è la possibilità tutt’altro che astratta che l’istruttoria compiuta dopo la pronuncia dell’ordinanza sia nulla.

Filippo Poggi

Delega orale o delega scritta?

Non persuade davvero questo recente arresto della Suprema Corte che con una sentenza per il momento isolata (né risulta che il tema sia stato affrontato in precedenza), ha creato scompiglio nell’ambito della documentazione della qualità di sostituto del difensore in ambito penale e civile.

L’art. 14, comma 2 della Legge Professionale Forense è molto chiaro e nell’ultimo periodo di tale comma prescrive che “Gli avvocati possono farsi sostituire da altro avvocato, con incarico anche verbale, o da un praticante abilitato, con delega scritta”.

Non si vede per quale motivo la Legge Professionale non possa contenere anche norme processuali che hanno in parte tacitamente abrogato le norme dei codici di procedura penale e civile in un’ottica di semplificazione delle forme di assunzione di maggiori responsabilità dell’avvocato che dichiarandosi sostituto in mancanza di delega orale, commetterebbe senza dubbio il reato di falso ideologico per induzione (artt. 48 e 479 c.p.).

Tanto è vero che questa norma si applica solo agli avvocati e non ai praticanti abilitati per i quali resta la necessità della delega scritta con le forme di documentazione prescritte dai codici di rito (in considerazione della temporanea autorizzazione al patrocinio con non consente di considerarli ancore membri pieno titolo dell’Ordine Forense v. art. 25 Legge Professionale Forense).

La delega scritta è anche richiesta in caso di nomina di un sostituto stabile presso un Ufficio Giudiziario come previsto dal comma 4 dell’art. 14.

Il richiamo contenuto nella sentenza circa l’esercizio della mancata delega in ordine alla redazione di in Testo Unico sulla Professione Forense appare un elemento affatto eccentrico e di nessuna utilità ai fini della corretta esegesi della norma. E ancora meno pertinente appare il richiamo ai “ regolamenti previsti dalla stessa legge” che sono stati emanati e nessuno di essi doveva occuparsi della materia della rappresentanza in giudizio.

Idem la mancata formale abrogazione dell’art. 9 della Legge Professionale del 1933 che faceva espresso riferimento alla figura del “procuratore” che tra l’altro non si rinviene nel sistema del codice di procedura penale dove il difensore assiste e difende l’imputato (o altra parte privata) e solo in condizioni eccezionali specificamente previste “rappresenta” l’imputato (v. art. 420-bis, 423, 475 etc.).

Insomma, almeno a parere di chi scrive, la preferenza pratica sia come rappresentante che come rappresentato è che sia più opportuno per tutti avere una delega scritta, tuttavia questo non toglie che l’interpretazione della Quinta Sezione della Cassazione appaia gravemente erronea e sulla stessa possano pronunciarsi altre Sezioni ovvero le stesse Sezioni Unite trattandosi di questione che anche nella pratica è della massima importanza.

Infine quid juris per i processi penali pendenti in cui l’imputato è stato assistito da un difensore munito di delega orale, quindi invalida (inesistente?) secondo l’interpretazione della sentenza richiamata? Non basta la presenza di un difensore, ma è necessario il difensore dell’imputato a pena di nullità assoluta del processo.

Filippo Poggi

Riconoscimento del diritto di soggiorno a coppia dello stesso sesso

La Corte di Giustizia UE con sentenza del 5.6  C- 673/16 ha ribadito il principio che, anche quando la legislazione interna di uno Stato membro non riconosca il matrimonio tra persone dello stesso sesso, non può impedire l’esercizio del diritto alla libera circolazione e di soggiorno dei cittadini UE. A rivolgersi alla Corte di Giustizia è stata la Corte Costituzionale rumena che ha esaminato il caso di un cittadino rumeno che si era sposato a Bruxelles con un cittadino statunitense che si era visto rifiutare dall’Ispettorato Generale per l’immigrazione il visto di soggiorno per il proprio coniuge per un periodo superiore a tre mesi, adducendo come motivo la circostanza che l’ordinamento rumeno non prevede il matrimonio omosessuale.

La Corte UE ha chiarito che la legislazione nazionale non può violare il diritto primario di circolare e soggiornare liberamente nello spazio europeo. Questo diritto è assicurato anche al coniuge, del cittadino europeo, anche se dello stesso sesso.

Ed invero la direttiva 2004/38 tra i familiari del cittadino include anche il coniuge. Questa nozione – osserva la Corte – ha carattere neutro dal punto di vista del genere, con la conseguenza che può comprendere anche il partner dello stesso sesso. Aggiunge la Corte che la competenza dello Stato va esercitata nel rispetto della vita privata e familiare garantito dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo né lo Stato nazionale può invocare motivi di ordine pubblico.

Giugno 2018

Nota a cura avv. E. Oropallo

Il diritto di visita del minore secondo il regolamento n. 2201/2003

Con recente sentenza del 31.5 u.s. nella causa C- 335-17 la Corte di Giustizia UE è intervenuta per chiarire la nozione di “diritto di visita” fissata nel regolamento n. 2201/2003 precisando che il diritto di visita è riconosciuto anche ai nonni nei confronti dei nipoti mentre la competenza per la decisione spetta al Giudice dello Stato membro in cui risiede il minore.

Giugno 2018

Nota a cura avv. E. Oropallo

La notifica PEC è valida anche se il messaggio non viene letto perché la casella è piena

Con sentenza n. 12451/18 la Corte di Cassazione, richiamando alcuni precedenti  giurisprudenziali sul tema, ha stabilito che la notifica deve ritenersi efficace anche nel caso di mancata conoscenza per fatto imputabile al destinatario. Il titolare dell’account di posta ha infatti il dovere di assicurarsi il corretto funzionamento della casella e l’uso.

Giugno 2018

Nota a cura avv. E. Oropallo

Il ricorso avverso il diniego di protezione internazionale sospende l’efficacia del provvedimento di espulsione

Tanto stabilisce la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 12476/18 del 21.5.18 accogliendo il ricorso proposto da un cittadino siriano che si è visto respingere dal Giudice di Pace l’opposizione avverso un decreto di espulsione emesso dal Prefetto per immigrazione clandestina.

Il Giudice di Pace di Pesaro aveva respinto il ricorso malgrado il provvedimento di rigetto della domanda di protezione internazionale era stato impugnato dal richiedente innanzi la Corte d’Appello. La sospensione dell’efficacia del provvedimento – scrive la Corte – sussiste per l’intero giudizio e dunque fino al passaggio in giudicato della decisione, richiamando la sentenza n. 18737/17 emessa dalla Corte stessa.

Giugno 2018

Nota a cura avv. E. Oropallo

Sciopero selvaggio e tutela del consumatore

Con sentenza del 17.4.2018 la Corte di Giustizia UE ha chiarito che “lo “sciopero selvaggio” di una parte consistente del personale di volo non può essere qualificato dalla compagnia aerea come “circostanza eccezionale” per cui non esclude il diritto dei passeggeri alla compensazione pecuniaria” (Corte di Giustizia UE, 3° Sez., sentenza 17.4.2018 cause riunite C-195/17 e cause riunite)

Maggio 2018

(Avv. E. Oropallo)

Limite del risarcimento del danno ai soli familiari conviventi

Recentemente la Cassazione si è occupata di un ricorso presentato dalla vedova, di nazionalità macedone ma residente da anni in Italia, di un uomo morto in Serbia a seguito di un incidente stradale. Il Tribunale di Trento, cui si era rivolta la donna insieme ad altri eredi non conviventi, confermando la propria giurisdizione e applicando la legge serba, aveva concesso un limitato risarcimento alla donna, ai figli e ai gentiori del “de cuius”, negandolo invece ai nipoti e ai fratelli non conviventi, in quanto la legge serba, che non esclude la risarcibilità del danno morale, lo riconosce solo “ai congiunti che siano conviventi”. Appellata la sentenza da parte dell’assicurazione, veniva successivamente ridimensionato anche l’importo riconosciuto. Ricorre la donna chiedendo se la norma serba possa dirsi contraria all’ordine pubblico di cui all’art. 16 della legge n. 218/95. La giurisprudenza della Cassazione, già in passato, si era espressa nel senso che il venir meno della convivenza non può essere considerata a priori una negazione della relazionalità per cui la Suprema Corte ha ribadito che “una legge straniera che restringa la risarcibilità del danno non patrimoniale da perdita del congiunto esclusivamente al caso in cui costui fosse convivente è da ritenere contraria all’ordine pubblico italiano ai sensi dell’art. 16, c. 1° della legge n. 218 del 1995 e deve essere disapplicata dal giudice italiano, dovendosi nell’ordinamento italiano dare alla convivenza solo il valore di elemento eventualmente rilevante in concreto sul piano probatorio del danno di tal genere”(Cass. Civ. 3° Sez. sentenza n. 10321/2018 depositata il 30.4). In parole più semplici, il danno morale va risarcito a tutti gli eredi legittimi, anche non conviventi con il de cuius, a condizione però che esso venga specificamente provato.

Fonte

www.marinacastellaneta.it

Nota a cura avv. E. Oropallo

Maggio 2018

Compensazione spese giudizio e obbligo di motivazione

Con ordinanza n. 9186/18 depositata il 13.4.2018 la Corte di Cassazione, ripercorrendo l’evoluzione normativa in tema di compensazione delle spese, precisa che il Giudice possa derogare al principio della soccombenza qualora ricorrano quelle “gravi ed eccezionali ragioni esplicitamente indicate nella motivazioneex l. n. 69/2009, restando comunque le ipotesi che consentono la compensazione circoscritte, ex l. n. 162/2014, “alla soccombenza reciproca, alla assoluta novità della questione trattata ed al mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti”.                    In questo ambito, comunque, le “gravi ed eccezionali ragioni” espresse in motivazione, “devono riguardare specifiche circostanze o aspetti della controversia decisa e non possono essere espresse con una formula generica (nella specie, “la natura della controversia e le sue alterne vicende dell’iter processuale”). A proposito di compensazione delle spese, si rammenta come la Corte Costituzionale con ordinanza n. 9794/18 depositata il 19.4.2018 (già annotata in questa sezione) ha allargato le ipotesi di compensazione anche al caso di sopravvenienze relative a questioni discriminanti e/o a quelle di assoluta incertezza “che presentino la stessa, o maggiore, gravità ed eccezionalità di quelle tipiche espressamente previste dalla disposizione censurata”.

Fonte D & C

Nota a cura avv. E. Oropallo

Maggio 2018

Revocabile l’espulsione dello straniero ben integrato

La Corte di Cassazione con ordinanza n. 9794/18 – Sez. VI Civ., depositata il 19.4.2018 ha ritenuto revocabile l’espulsione dello straniero irregolarmente soggiornante in Italia, a patto però che la sua permanenza sul suolo nazionale si accompagni anche una “adeguata integrazione sociale”, revocando il decreto prefettizio emesso  nei confronti di un cittadino albanese presente in Italia fin dal 2003, che vive con la propria famiglia in un immobile regolarmente affittato e già in possesso di un permesso di soggiorno, pur se scaduto da oltre tre mesi. In effetti la Cassazione ha tenuto conto che l’uomo vive da quell’epoca in Italia, svolgendovi un’attività di lavoratore, insieme alla moglie e alle figlie, una delle quali affetta da gravi problemi di salute.

Ha ritenuto la Cassazione che “la norma tende a salvaguardare il diritto alla vita familiare e quindi “l’espulsione deve essere evitata”, pur se consentita, sul “mero presupposto della posizione irregolare dello straniero”, peraltro in possesso di un visto di soggiorno, benché scaduto.

Fonte

D & G

Nota a cura avv. E. Oropallo

Maggio 2018

Regolamento delle spese processuali nel giudizio civile

La Corte Costituzionale con sentenza n. 77 del 19.4.2018, in tema di regolamentazione delle spese  processuali nel giudizio civile ha dichiarato la illegittimità costituzionale dell’art. 92 – 2° c. del c.p.c. “nella parte in cui non prevede che il giudice, in caso di soccombenza totale, possa non di meno compensare le spese tra le parti, parzialmente o per intero, anche qualora sussistano altre analoghe gravi ed eccezionali ragioni”.

In particolare la Corte ha evidenziato che “contrasta con il principio di ragionevolezza e con quello di uguaglianza (art. 3 primo comma, Cost) aver il legislatore nel 2014 tenuto fuori dalle fattispecie nominate, che facoltizzano il giudice a compensare le spese di lite in caso di soccombenza totale, le analoghe ipotesi di sopravvenienze relative a questioni dirimenti e a quelle di assoluta incertezza, che presentino la stessa, o maggiore, gravità ed eccezionalità di quelle tipiche espressamente previste dalla disposizione censurata”.

Maggio 2018

Nota a cura

Avv. E. Oropallo

Il mancato rinvio pregiudiziale a Lussemburgo non viola le regole sull’equo processo

Secondo la Suprema Corte di Giustizia dell’UE (ricorso n. 55385/41 Baydar c/ Paesi Bassi), con sentenza depositata il 24.4.2018 non viola il diritto all’equo processo, garantito dall’art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell’Uomo, il giudice di ultimo grado che decide di non procedere a un rinvio pregiudiziale dell’interpretazione della Corte di Giustizia dell’UE, richiamando nell’ordinanza unicamente le norme rilevanti, senza una motivazione dettagliata, respingendo così il ricorso presentato da un cittadino che aveva lamentato appunto il mancato rinvio del giudice di merito alla Corte di Giustizia per la verifica della corretta qualificazione della nozione di residenza . In base all’art. 267 del Trattato di funzionamento dell’UE, i tribunali nazionali dei singoli Stati membri, inclusi quelli di ultimo grado, non sono obbligati ad effettuare il rinvio pregiudiziale laddove ritengono che la questione non sia rilevante ai fini della soluzione del caso. Condivisibile la decisione della CdG sulla base di quanto prevede la normativa europea, fino a quando non intervenga una modifica che possa consentire alla parte privata il potere oggi riconosciuto esclusivamente solo all’organo giudicante, per giunta a carattere discrezionale.

Fonte

www.marinacastellaneta.it

Nota a cura avv. E. Oropallo

Maggio 2018

Il mancato esercizio del diritto di visita non integra il reato di cui all’art. 388 comma 2° c.p.

Lo ha stabilito una recente sentenza emessa dal GIP del Tribunale di Nola del 14.3.2018 esaminando il caso di un padre separato querelato dalla sua ex moglie perché sistematicamente non si presentava agli incontri settimanali programmati col figlio ancora minorenne, cagionando allo stesso uno stato di malessere interiore. Secondo il Giudice la condotta contestata non avrebbe eluso alcuno degli obblighi statuiti dal provvedimento del giudice civile dovendosi ritenere che “costituisce comportamento elusivo penalmente rilevante soltanto quello che violi le parti del provvedimento che stabiliscono obblighi funzionali all’effettività dello stesso – come può essere una violazione dell’obbligo di assistenza familiare ex art. 570 c.p. – e non anche il mancato esercizio di una facoltà prevista in caso di genitore non affidatario…E ciò anche laddove la condotta abbia prodotto effetti spiacevoli nell’animo del minore”.

Secondo il commento che si può leggere nella rivista telematica (www.ildirittopenalecontemporaneo.it) la soluzione adottata dal Tribunale di Nocera Inferiore appare largamente condivisibile. Come già osservato dalle Sezioni Unite (Sez. Un. pen. 27.9.2007 sent. n. 36692) il legislatore parla di elusione dell’esecuzione di un provvedimento del giudice e non di mera inottemperanza dello stesso. Ancora “la condotta contraria all’ordine e alla morale della famiglia” viene punita solo quando abbia per risultato “la sottrazione agli obblighi assistenziali inerenti alla responsabilità genitoriale”, dovendosi escludere di conseguenza “quelle condotte di carattere meramente estemporaneo ed occasionale, che non presentino un sufficiente livello di gravità” (Cass. Sez. VI pen. sent. n. 51488 del 19.12.2013).

Fonte

www.ildirittopenalecontemporaneo.it

Nota a cura

Avv. E. Oropallo

Maggio 2018

L’utilizzo del termine “mafia” in un marchio di azienda è contrario ai valori essenziali dell’Unione europea

E’ quanto ha stabilito il Tribunale dell’Unione Europea – Sez. IX – con sentenza del 15.3.2018 con la quale l’Italia è riuscita ad ottenere la dichiarazione di nullità della registrazione del marchio richiesto da una società spagnola, per servizi di ristorazione, con la scritta “la mafia se sienta a la mesa” (la mafia si siede a tavola) proprio per salvaguardare i valori fondamentali e la tutela dell’ordine pubblico.

Nel commento che ne ha fatto su “Guida al diritto n. 16” la prof. Castellaneta, si rileva innanzitutto che “il regolamento n. 2071 del 2009 sul marchio dell’Unione europea, sostituito dal n. 1001/2017, dispone all’art. 7 che i marchi contrari all’ordine pubblico o al buon costume sono dichiarati nulli “. Ed invero si legge nel commento “lo stesso Tribunale sottolinea che gli obiettivi degli impedimenti alla registrazione sono funzionali a evitare la registrazione di marchi che “pregiudicherebbero l’ordine pubblico o il buon costume al momento del loro utilizzo nel territorio dell’Unione”.

In effetti, precisa il Tribunale che i valori sui quali si fonda l’Unione ed in particolare i valori del rispetto della dignità umana e delle libertà sono patrimonio spirituale e morale dell’Unione “senza dimenticare che lo stesso Trattato dell’Unione europea, all’art. 83 include la lotta alla criminalità tra le finalità dell’Unione”.

La mafia, poi, è considerata una “minaccia seria per la sicurezza in tutto il territorio dell’Unione”.

Ci sembra inoltre condivisibile – si legge sempre nel commento – la decisione del Tribunale di non banalizzare l’utilizzo di un termine che richiama fatti cruenti per il solo fatto – addotto a giustificazione della società – che evoca il film “il Padrino” in quanto …la percezione negativa da parte del pubblico di riferimento, infatti, resta ferma e non muta per il solo fatto che il titolare del marchio riteneva effettuare un collegamento al film”. Respinta anche la tesi secondo la quale la registrazione doveva essere consentita perché alcuni marchi in Italia contengono l’elemento “mafia”” in quanto il regime dei marchi comunitari è indipendente rispetto ai diversi sistemi nazionali”.

Ovviamente, ci sembra legittimo il diritto dell’Italia di non far passare un marchio che identifica, nella percezione collettiva, il nostro paese al fenomeno criminale, ma è altrettanto incredibile che in Italia, come sembra sia avvenuto, passino marchi con riferimento esplicito alla mafia, segno che in Europa la nostra dignità sia meglio difesa che in Italia.

Fonte

Guida al Diritto n. 16/2018

Commento di Marina Castellaneta

Nota a cura avv. E. Oropallo

L’ICI non pagata dalla chiesa va recuperata dall’Italia

In una serie di cause avviate da una scuola privata laica e dal titolare di un bed & breakfast italiano, innanzi alla Corte di Giustizia, che lamentavano il più favorevole trattamento riservato negli anni passati alla Chiesa Cattolica, esentata dal pagamento dell’ICI, l’Avvocato generale della Corte UE ha chiesto ai giudici di obbligare l’Italia a recuperare il gettito che si è perduto tra il 2006 e il 2011 grazie alle esenzioni poi dichiarate illegittime dalla Commissione. Con la sua richiesta l’Avvocato generale chiede di ribaltare le conclusioni a cui era arrivato il Tribunale UE nel 2016 e le decisioni della Commissione, che avevano aderito all’idea di mettere un velo pietoso sugli sconti generalizzati agli enti ecclesiastici, esclusi dall’obbligo dell’ICI, bocciati dalla Commissione come aiuti illegittimi, perché davano un vantaggio concorrenziale rispetto alle scuole e agli alberghi soggetti all’imposta comunale. Il Tribunale però nel 2016 aveva per la prima volta giudicato appellabili le decisioni della Commissione in base all’art. 263 comma 4 del Trattato sul funzionamento della UE, aprendo la porta al giudizio arrivato ieri alle conclusioni dell’Avvocato generale che giustamente ha ritenuto che i problemi organizzativi di una pubblica amministrazione non sono una ragione sufficiente per non recuperare gli aiuti di Stato illegittimi che vengono a porsi in contrasto con la normativa UE. Richiesta, abbiamo detto, più che legittima in quanto già all’epoca non riuscivamo a capire le motivazioni di questa esclusione dalle scuole ecclesiastiche e delle migliaia di alberghi nei quali arriveranno certo anche pellegrini ma anche aperti ad un pubblico indifferenziato a tariffe che erano in concorrenza con quelle degli alberghi privati, in barba al concetto di eguaglianza difronte alla legge. Senza timore di smentite, è certo che il governo di questo paese, di qualunque colore politico, ha inteso avere un occhio di riguardo per la Chiesa Cattolica, a tutto svantaggio dell’imprenditoria privata soggetta a quell’onere fiscale. Sarà forse questo il momento di un “operoso ravvedimento”? Ne dubitiamo fortemente.

Aprile 2018   

Fonte: il Quotidiano del Diritto

Nota a cura avv. E. Oropallo

Disapplicata la negoziazione assistita ritenuta in contrasto con il diritto europeo

Con ordinanza del 27.2.2018 il Tribunale di Verona, 3° Sez. Civ., ha ritenuto che “la disciplina nazionale che ha introdotto tale presupposto dell’azione (e dunque il d.l. n. 132/2014) è incompatibile con il diritto dell’Unione Europea e, quindi, deve essere disapplicata”, anche nel caso in cui sia ritenuta obbligatoria prima di adire il giudice ordinario. Secondo il Tribunale “delle quattro condizioni in base alle quali qualsiasi tipo di ADR obbligatoria può ritenersi compatibile con il principio comunitario della tutela giurisdizionale effettiva, sancito dagli artt. 6 e 13 della CEDU e dell’art. 48 della Carta dei diritti fondamentali”, sicuramente l’ultimo e cioè il costo che deriva dall’obbligo di tentare la negoziazione “non potendo prescindere dall’intervento di un difensore, comporta costi non contenuti per le parti, tenuto conto dei criteri di determinazione del compenso di avvocato attualmente vigenti”. Chi ha annotato la sentenza, critica la soluzione adottata perché “quanto ai costi di tale procedura…deve parimenti escludersi che questi – certamente inferiori ai costi del giudizio, che l’interessato ha la possibilità, peraltro, di risparmiare – siano tali da limitare o rendere eccessivamente difficoltosa la tutela giurisdizionale”. “Inoltre – continua il commento – la negoziazione assistita prevede l’ipotesi che la parte possegga i requisiti dell’ammissione al gratuito patrocinio ponendo “a carico” del difensore (questo sì veramente incostituzionale volendo) l’onere economico”.

Ecco, questo è uno dei nodi della riforma, in primis perché non tutti possono accedere al gratuito patrocinio ed il secondo perché esso esige l’intesa del legale, qualora sia iscritto nell’elenco di difensori disposti al gratuito patrocinio.

Ora, se ci si consente un piccolo commento, bisogna ricordare che il legislatore ha cercato attraverso queste recenti normative, quella sulla mediazione e sull’obbligo della negoziazione assistita, di limitare di fatto l’accesso alla giustizia, scaricando sulla classe forense una serie di oneri che non sono compatibili con un sistema processuale che mortifica il diritto del cittadino che deve rivolgersi ad un

giudice terzo come prevede l’art. 6 della CEDU. In effetti, questa soluzione finisce per mortificare anche il lavoro degli avvocati, tenuto conto della scarsa capacità deflattiva che hanno avuto queste misure.

Il cittadino ha fame di giustizia che non viene affatto soddisfatta da queste misure ibride in quanto destinate solo a ritardare l’accesso alla giustizia.

Se avesse voluto questo Stato effettivamente riformare un sistema giudiziario civile che affanna dietro un arretrato pauroso, non può far ricorso a misure draconiane (come quella che prevede una penale in caso di rigetto del ricorso ex l. 89/2001) ma dare a questi provvedimenti che rallentano l’accesso alla giustizia una precisa valenza alternativa al giudizio ordinario che invece non c’è. E questo è un grosso limite che si traduce in un fallimento della riforma che aumenta i costi del ricorso alla giustizia e che non ha alcuna forza deflattiva. Qualche ripensamento del Ministro della Giustizia ma anche della nostra rappresentanza nazionale (CNF) che ha dato l’OK, non sarebbe inopportuno.

Aprile 2018

Nota a cura avv. E. Oropallo

Composizione collegiale del tribunale nel procedimento di liquidazione del compenso dell’Avvocato

In questo senso ha deciso la Corte di Cassazione con sentenza n. 68/18 depositata il 4 gennaio 2018.

Il caso.

Un avvocato citava in giudizio innanzi il Tribunale di Bari due clienti per ottenere il pagamento dei compensi professionali. Il Tribunale, in composizione monocratica, accoglieva parzialmente e con ordinanza, la domanda proposta dal legale.

I convenuti impugnavano la sentenza innanzi alla Corte di Appello di Bari la quale dichiarava la nullità della sentenza emessa dal Giudice di prime cure ai sensi art. 50 quater cpc in quanto la causa era stata trattata dal Tribunale in composizione monocratica anziché collegiale, confermando la determinazione del compenso stabilita dal Giudice di primo grado.

Proponeva ricorso per Cassazione il legale il quale, tra l’altro, denunciava anche l’incompetenza della Corte d’Appello alla luce della natura di ordinanza emessa dal Tribunale. Il Supremo Collegio ha ritenuto corretta la procedura odierna di liquidazione del compenso applicata dalla Corte d’Appello, riconoscendo che il provvedimento emesso alla fine del procedimento, benché avesse forma di ordinanza, ha volore di sentenza, impugnabile unicamente con l’appello, ribadendo la nullità del provvedimento impugnato, in quanto reso in forma monocratica piuttosto che in forma collegiale. Rigetta, pertanto, il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Marzo 2018

Fonte D. & G. gennaio 2018

(Avv. E. Oropallo)

Obbligo della lettura del dispositivo per la validità del rigetto di opposizione

Lo ha ribadito la Cassazione con la sentenza n. 72/18 depositata il quattro gennaio 2018.

Il caso.

Il Giudice di Pace di Pistoia rigettava l’opposizione all’ordinanza di ingiunzione di pagamento della sanzione amministrativa emessa dalla Camera di Commercio nei confronti dell’opponente. Il Tribunale, adito in appello, confermava la sentenza di primo grado. Avverso la decisione ricorreva per Cassazione l’opponente che deduceva la nullità insanabile della sentenza di appello per omessa lettura in udienza del dispositivo e per mancata applicazione del rito del lavoro.

La Cassazione ha evidenziato che, ai sensi del d. lgs. n. 150/2011, le controversie di opposizione ad ordinanza di ingiunzione sono regolate dal rito del lavoro in base al quale il Giudice che pronuncia la sentenza deve dare lettura del dispositivo nell’udienza di discussione, come previsto dagli artt. 429 e 437 c.p.c. mentre dalla lettura degli atti nel caso esaminato non risultava l’avvenuta lettura del dispositivo della decisione nella pubblica udienza.

Omissione che determina la nullità insanabile della sentenza, per mancanza del requisito formale indispensabile per il raggiungimento dello scopo dell’atto.

Marzo 2018

Note D. & G. gennaio 2018

(Nota a cura avv. E. Oropallo)

Tutela indennitaria del licenziamento

Al lavoratore licenziato dopo due anni dal fatto spetta solo la tutela indennitaria.

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con sentenza n. 30985/17 depositata il 27.12.2017.

Il fatto.

Un lavoratore citava in giudizio il proprio datore di lavoro per sentir dichiarare la illegittimità del licenziamento e la reintegra nel posto di lavoro, in quanto la contestazione dell’addebito veniva formulata a due anni di distanza dai fatti di rilevanza disciplinare. Il Tribunale di Arezzo riconosceva, ai sensi art. 18 Statuto dei lavoratori, la tutela indennitaria, non disponendo, però, la reintegra nel posto di lavoro.

La Corte d’Appello di Firenze riformava la sentenza rilevando che il licenziamento dovesse ritenersi nullo in assenza di contestazione immediata.

Contro la sentenza ricorreva in Cassazione il datore di lavoro in quanto l’art. 18, così come modificato dalla legge Fornero, prevedeva accanto alla tutela cd. reale una tutela meramente indennitaria non ricorrendo il caso di specie in nessuna delle ipotesi tipiche elencate nel primo comma del novellato art. 18. Interpretazione fatta propria dalla Suprema Corte che ha confermato che l’ipotesi specifica di ritardo nella contestazione dell’addebito comporta l’applicazione della sola sanzione dell’indennità come prevista dal quinto comma dello stesso art. 18 della l. n. 300/1970, così come novellato dalla l. n. 92/2012.

Marzo 2018

Fonte D & G gennaio 2018

(Nota a cura avv. E. Oropallo)