Brevetto unico europeo

In G.U. è stato pubblicato il d.lgs. n. 18/2019 di attuazione della delega di cui all’art. 4 l. n. 163/2017 per l’adeguamento e il coordinamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento europeo n. 1257/2012 del Parlamento europeo e del Consiglio. Il decreto è entrato in vigore il 27 marzo scorso.

Negli Stati membri che parteciperanno a tale cooperazione sarà introdotta una tutela brevettuale unitaria, il brevetto unico europeo con cosiddetto “effetto unitario”. L’obiettivo è quello di istituire una giurisdizione comune per tutti i Paesi partecipanti che regoli violazioni, contraffazioni, revoche o accertamenti di nullità, nonché misure provvisorie e cautelari correlate o azioni di risarcimento danni. Un bel passo avanti sulla strada dell’armonizzazione della disciplina brevettuale cui fino ad oggi non aveva dato attuazione il Parlamento nazionale.

Fonte D&G

Marzo 2019

Nota a cura avv. E. Oropallo

Ai clienti pesce surgelato e decongelato: l’omessa indicazione sul menù vale una condanna

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, sentenza n. 13726/19, sez. III Penale, depositata il 31.3.2019.

Decisiva sul fronte giudiziario è la valutazione compiuta dai Magistrati della Corte d’Appello, i quali dissentono dalla pronunzia assolutoria emessa dai colleghi del Tribunale e ritengono che “il non avere comunicato alla clientela, mediante indicazione sul menù, la somministrazione di pesce decongelato e surgelato” è catalogabile come azione finalizzata a “vendere” agli avventori “quel cibo come pesce fresco”. Conseguenziale, quindi, la condanna per i due proprietari del ristorante giapponese, fermati prima di riuscire a mettere in pratica la frode.

Fonte D&G

Marzo 2019

Legittima difesa – Testo definitivamente approvato dal Senato della Repubblica il 28.03.2019

In allegato il testo di Legge definitivamente approvato dal Senato ed in attesa di Promulgazione da parte del Capo dello Stato e di pubblicazione in Gazzetta Ufficiale.

In ordine al nuovo assetto della legittima difesa nel nostro ordinamento quale risultante dalle modifiche degli artt. 52, 55 del codice penale e 2044 del codice civile, pare almeno a chi scrive, che le fortissime preoccupazioni espresse da più parti circa la legittimazione di un nostrano “Far West” ed il distacco (definitivo?) da un diritto penale liberale in nome di un populismo penale lontano dai criteri di razionalità che debbono governare la redazione della norme penali, sembrano un poco eccessive.

Non interessa cimentarsi in ordine alle perplessità sul carattere di norma “manifesto” che riguarderebbe un numero davvero trascurabile di procedimenti penali ed ancora di più il fatto che la norma sarebbe ingiustificata alla luce di un nettissimo calo dei reati violenti di tutti i generi ma in particolare degli omicidi volontari che non sono mai stati ad un livello, per fortuna, così basso nella storia repubblicana. Neppure si vuole discutere la questione del monopolio dell’uso della forza legale riservato ovviamente allo Stato.

L’esame del testo del codice interpolato dalle legge de qua consente una primissima esegesi delle nuove disposizioni alla luce delle quali in primo luogo l’avverbio “sempre” inserito al comma 2 dell’art. 52 dopo la parola “sussiste” certamente limita in modo molto forte la discrezionalità del Giudice ma forse può essere quasi considerata pleonastica in considerazione del fatto che trattasi pur sempre di fatti commessi per difendere all’interno del proprio domicilio (inteso come casa di abitazione ma anche negozio, studio professionale o impresa, luoghi in cui ogni persona ha diritto al massimo della sicurezza fisica che l’Ordinamento deve garantire), “la propria o altrui incolumità” quindi beni attinenti alla vita e all’integrità fisica ovvero anche i beni ma solo quando non vi sia “desistenza” dell’offensore” e comunque “vi sia pericolo di aggressione”.

In ogni caso tale concreto apprezzamento giudiziale non è affatto escluso e una ragionevole interpretazione della norma per quanto attiene alla nozione di “propria e altrui incolumità” che dovranno subire una minaccia tutt’altro che irrilevante perché possa escludersi la punibilità del fatto.

Non è quindi pensabile che si possa, anche alla luce delle nuove norme, “sparare al ladro che fugge” in quando adesso come allora si ricadrebbe senza meno in una ipotesi di omicidio volontario.

Il comma 4 aggiunto all’art. 52 del codice penale parimenti ritiene “sempre in stato di legittima difesa” chi nei luoghi sopra indicati agisce contro un offensore a condizione che questi “stia compiendo una intrusione con violenza o minaccia di uso di armi o di altri strumenti di coazione fisica”.

La modifica dell’art. 55 del codice penale sull’eccesso colposo nella legittima difesa introduce un concetto forse di non inequivoca interpretazione quale “lo stato di grave turbamento derivante dalla situazione di pericolo in atto” che certamente potrà consentire, se applicato in modo molto estensivo dalla Magistratura (forse potranno risultare utili gli studi in tema di vittima vulnerabile nel diritto processuale), di punire con le pene per i reati colposi fatti molto gravi ma senza certamente consentire mai alcun eccesso, quello sì debordante dal diritto penale liberale e soprattutto dallo Stato di diritto, per cui l’offeso possa mai perpetrare sorta una vendetta legale nei confronti dell’offensore allorché questi abbia cessato di essere una minaccia per l’incolumità fisica e stia, per esempio, dandosi alla fuga con il bottino.

La nuova Legge modifica anche le conseguenze civilistiche della legittima difesa previste dall’art. 2044 del codice civile, per cui nel caso la stessa ricorra, per chi ha compiuto il fatto è escluso ogni obbligo di risarcimento o indennizzo nei confronti del danneggiato o dei suoi congiunti (mi sembra una scelta discrezionale del Legislatore che non può essere attaccata sul piano della legittimità costituzionale in quanto non si scorgono obblighi solidaristici nei confronti di chi sia rimasto leso nell’atto di commettere un delitto violento); in caso di legittima che però abbia ecceduto colposamente i limiti legali, è sempre dovuta invece una indennità rimessa al prudente apprezzamento del Giudice che dovrà tenere conto dei parametri legalmente determinati per la sua liquidazione.

La nuova Legge inasprisce, e molto, le pene per il furto in abitazione ex art. 624-bis del codice penale, per la violazione di domicilio ex art. 614 del codice penale e per la rapina semplice (pena minima 5 anni) o aggravata (di solito tali innalzamenti delle pene edittali non sembrano sortire evidenti effetti concreti).

Pare del tutto condivisibile la modifica dell’art. 165 del codice penale per cui in caso di condanna per furto in abitazione, la sospensione condizionale della pena è sempre subordinata al pagamento integrale della somma determinata a titolo di risarcimento del danno subito dalla persona offesa.

Infine viene previsto che gli oneri di difesa anche per consulenti tecnici siano a carico dello Stato, non si comprende se rilevi comunque il reddito dell’imputato ma parrebbe di sì applicandosi la stessa normativa dei collaboratori di giustizia.., quando il procedimento di concluda un provvedimento liberatorio (decreto di archiviazione, sentenza di nlp o sentenza dibattimentale di proscioglimento). Nello stesso tempo questi procedimenti vengono inseriti tra quelli per cui è prevista la trattazione prioritaria ai sensi dell’art. 132-bis disp. att. c.p.p.

Interessante il fatto che venga in un certo modo legalmente prevista (v. art. 8 delle nuove disposizioni) la formula terminale nel caso di assoluzione per ricorrenza della legittima difesa che essere quella per cui “il fatto non costituisce reato”.

Meno comprensibile perché queste ultime due disposizioni non siano applicabili ai fatti commessi ricorrendo le circostanze di cui all’art. 52, comma 1 del codice penale ossia a quella che ormai potremmo definire “legittima difesa ordinaria” (es. rappresentante di preziosi assalito sulla pubblica via, donna che si difende da un tentativo di violenza sessuale di gruppo fuori da un locale pubblico etc.).

Filippo Poggi

Le nuove norme sul marchio in G.U.

Sulla G.U. dell’8.3.2019 n. 57 è stato pubblicato il decreto legislativo n. 15/2019 che ha dato attuazione alla direttiva UE 2015/2436 per l’adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento UE 2015/2424 del 16.12.2015, recante modifica al regolamento sul marchio comunitario.

Diverse le modifiche apportate al codice della proprietà industriale (d.lgs. n. 30/2005). In particolare, il legislatore è intervenuto sulla procedura di deposito del marchio che non richiederà più la riproduzione grafica dello stesso.

Il decreto, con il nuovo art. 122-bis (Legittimazione all’azione di contraffazione del licenziatario), prevede che «1. Fatte salve le clausole del contratto di licenza, il licenziatario può avviare un’azione per contraffazione di un marchio d’impresa soltanto con il consenso del titolare del medesimo. Il titolare di una licenza esclusiva può tuttavia avviare una siffatta azione se il titolare del marchio, previa messa in mora, non avvia un’azione per contraffazione entro termini appropriati. 2. Il licenziatario può intervenire nell’azione per contraffazione avviata dal titolare del marchio per ottenere il risarcimento del danno da lui subito».
In tema di azione di decadenza, l’onere della prova dell’uso del marchio incombe sul titolare e non su chi ne eccepisce il non uso (modifiche all’art. 121 c.p.i.).   

L’art. 122 viene invece modificato nel senso che «L’azione di nullità o decadenza di un marchio registrato è improcedibile qualora, su una domanda con il medesimo oggetto, i medesimi fatti costitutivi e fra le stesse parti, sia stata pronunciata una decisione dall’Ufficio italiano brevetti  e  marchi  ai  sensi  dell’articolo  184-quater  o  sia pendente un procedimento dinanzi all’Ufficio italiano brevetti e marchi, ai sensi dell’articolo 184-bis.

Fuori dal caso di cui al comma 4-bis, qualora l’azione di nullità o decadenza di un marchio registrato sia esercitata in pendenza di un procedimento amministrativo, connesso per il suo oggetto, il giudice può sospendere il relativo processo. La parte che vi abbia interesse deve chiedere la fissazione della nuova udienza entro il termine perentorio di tre mesi dalla definizione del procedimento amministrativo connesso, ai sensi dell’art. 297, comma 3, c.p.c.».

Fonte D&G

Marzo 2019

La locazione stipulata non in forma scritta

Nel caso in cui l’adozione della forma verbale sia stata liberamente concordata dalle parti, il locatore può chiedere il rilascio dell’immobile, occupato senza alcun titolo, mentre il conduttore può solo chiedere la restituzione parziale delle somme eccedenti, rispetto al canone concordato. Questo è il principio affermato dalla Corte Suprema di Cassazione, Terza Sezione Civile, con l’ordinanza n. 5794/19, depositata il 28 febbraio.

Il principio richiamato dalla Corte di Cassazione è quello già affermato, con una precedente pronuncia delle Sezioni Unite (sentenza n. 18214/05), nella quale si afferma che il contratto di locazione ad uso abitativo, stipulato non in forma scritta, debba considerarsi affetto da nullità assoluta, secondo la previsione dell’art. 1 l. n. 431/1998 e che essa sia rilevabile sia su impulso di parte che d’ufficio, dal giudice.
La Corte di Cassazione distingue fra due ipotesi: quella in cui l’adozione della forma verbale sia stata liberamente concordata dalle parti, nel qual caso, inevitabilmente, il contratto è da ritenersi nullo e quella in cui la scelta di instaurare un rapporto di fatto e quindi abusivo, sia riconducibile alla volontà del solo locatore, che l’ha perseguita con la coercizione o l’inganno del conduttore.

In quest’ultimo caso il conduttore potrà scegliere fra la riconduzione del contratto alle condizioni conformi a quanto previsto dagli accordi di categoria e la restituzione di quanto pagato in eccesso, rispetto alle somme effettivamente dovute, in forza dei suddetti accordi.

Nel caso in cui la forma verbale sia stata adottata di comune accordo, invece, troveranno applicazione i principi generali in tema di nullità.
Il locatore potrà agire in giudizio per ottenere il rilascio dell’immobile, occupato senza alcun titolo, mentre il conduttore potrà solo chiedere la restituzione parziale delle somme eccedenti, rispetto al canone concordato.

Fonte D&G

Marzo 2019

Nota a cura avv. E. Oropallo 

Elezioni dei COA: salva la proroga

Con il comunicato del Ministero viene chiarito che, «ai sensi del medesimo art. 1, comma 3, legge 11 febbraio 2019, n. 12, restano validi gli atti e i provvedimenti adottati e sono fatti salvi gli effetti prodottisi ed i rapporti giuridici sorti sulla base del decreto-legge n. 2 del 2019».

Prendendo atto della mancata conversione del d.l. n. 2/2019, recante «Misure urgenti e indifferibili per il rinnovo dei consigli degli ordini circondariali forensi», il Ministero della Giustizia ha precisato che le norme ivi previste sono state abrogate dall’art. 1, comma 3, l. n. 12/2019 di conversione.

Il decreto legge era stato approvato dal Governo, a seguito della sentenza delle Sezioni Unite n. 32781/18 che nell’interpretare la l. n. 113/2017, avevano ribadito l’ineleggibilità degli avvocati che hanno già svolto due mandati consecutivi.

Fonte D&G

Marzo 2019

Elezione del domicilio presso il difensore di ufficio e processo in absentia

In questa interessante ordinanza della Prima Sezione Penale della Suprema Corte si riafferma l’importanza (invero abbastanza negletta nella pratica quotidiana) di assicurare che il processo in absentia avvenga quando dello stesso sia effettiva conoscenza da parte dell’imputato e non solo meramente formale quando avviene come nel caso all’esame della Corte, per effetto della sola elezione del domicilio presso il difensore di ufficio effettuata nella fase procedimentale ed anzi prima dell’iscrizione nel registro degli indagati.

L’ordinanza si segnala anche per l’affermazione di un principio di diritto niente affatto pacifico: la questione all’esame riguarda un verbale del 2014 tuttavia viene evocato come tertium comparationis la disciplina attuale ex art. 162, comma 4-bis c.p.p. che ha introdotto la necessità di informare immediatamente il difensore di ufficio e di raccogliere il suo consenso alla predetta elezione. La Suprema Corte ritiene che in caso di mancato consenso, le notifiche all’imputato non possano farsi che ai sensi degli artt. 157 segg. c.p.p.

Non privo di interesse il fatto che la vicenda processuale in Cassazione nasce dal ricorso del PG avverso la sentenza di appello che di ufficio aveva ravvisato la nullità della sentenza di primo grado per difetto delle condizioni per procedere in absentia.

Il PG presso la Cassazione ha chiesto il rigetto del ricorso del PG presso la Corte Territoriale.

E’ ben noto che la Dottrina ritiene la disciplina introdotta con Legge n. 67/2014, che ha soppresso il secolare istituto della contumacia, assai più sfavorevole delle disciplina precedente, alla quali si era giunti anche per impulso della giurisprudenza della Corte Edu, che aveva novellato l’art. 175 c.p.p. con Legge n. 60/2005. E davvero non si può, almeno ad avviso di chi scrive, concordare con le obiezioni sollevate dalla Dottrina.

Filippo Poggi

La difficoltà economica dello straniero può giustificare il mancato rispetto dell’ordine di espulsione

Lo ha ribadito la Cassazione con sentenza n. 39773/18, depositata il 4 settembre.

La vicenda. Il Giudice di Pace condannava l’imputato alla pena di 10mila euro di multa per non aver ottemperato all’ordine di lasciare il territorio nazionale.

La decisione di merito è impugnata per cassazione dall’interessato. Sostiene il ricorrente che nella fattispecie era emersa una situazione di indigenza tale da non consentirgli l’acquisto del titolo di viaggio. La mancanza di fonti finanziarie, riferite da un teste appartenente allo polizia giudiziaria ed emerse anche nel decreto di espulsione stesso, venivano ignorate dal Giudice di Pace.

La Cassazione ha ritenuto il ricorso fondato. In tema di immigrazione il giustificato motivo, idoneo ad escludere la configurabilità del reato di inosservanza dell’ordine di lasciare il territorio nazionale, presuppone l’onere dello straniero di allegare i motivi non conosciuti né conoscibili da parte del giudice, “restando fermo per il giudice il potere di rilevare direttamente, quando possibile, l’esistenza di ragioni legittimanti l’inosservanza del precetto penale».

Ragioni che possono concernere «situazioni ostative di particolare pregnanza, che incidano sulla stessa possibilità, soggettiva od oggettiva, di adempiere all’intimazione, escludendola ovvero rendendo difficoltosa o pericolosa».

Pertanto, il disagio economico dello straniero e la difficoltà ad organizzare la partenza doveva essere valutata come giustificato motivo.

Per questo motivo la Cassazione ha annullato la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio al Giudice di Pace.

Fonte D & G

Febbraio 2019

Abbandonare i rifiuti è reato, ma anche non provvedere alla rimozione

Così si è espressa la Corte di Cassazione sentenza n. 39430/18, depositata il 3 settembre.

Fermo restando che l’art. 192 d.lgs. n. 152/2006 vieta in generale l’abbandono di rifiuti, condotta punita dagli artt. 225 e 226 del medesimo decreto, la Corte ricorda che l’abbandono di rifiuti obbliga chiunque contravvenga al divieto al rispristino dello stato dei luoghi.

La sentenza precisa dunque che «l’obbligo di rimozione dei rifiuti sorge in capo al responsabile dell’abbandono come conseguenza della sua condotta e, nei confronti degli obbligati in solido, quando sia dimostrata la sussistenza del dolo o, almeno, della colpa, mentre i soggetti destinatari dell’ordinanza sindacale sono obbligati in quanto tali e, in caso di inosservanza del provvedimento, ne subiscono le conseguenze, se non forniscono al giudice penale dati significativi valutabili ai fini di una eventuale disapplicazione del provvedimento impositivo dell’obbligo».

Fonte D & G

Febbraio 2019

Conferma del trattenimento presso il CIE per mancata notifica dell’avviso dell’udienza al difensore di fiducia

Così ha deciso la Corte di legittimità con l’ordinanza n. 3345/19, depositata il 5 febbraio.

Il Giudice di Pace di Milano convalidava il trattenimento di un cittadino albanese presso un centro di permanenza temporanea ed assistenza di Milano in virtù del fatto che l’interessato aveva terminato un periodo di detenzione domiciliare e che, avendo una moglie regolarmente soggiornante in Italia ed un figlio di due anni, avrebbe avuto le condizioni per il permesso di soggiorno per ragioni familiari. Avverso tale provvedimento, propone ricorso per cassazione l’interessato.

Come afferma costantemente la giurisprudenza, in tema di procedimento di convalida del trattenimento dello straniero, trovano applicazione le garanzie del contraddittorio, nella forma della necessaria partecipazione del difensore e dell’audizione dell’interessato.

Ne consegue che la mancata partecipazione del difensore di fiducia nel procedimento di convalida, a causa dell’omessa notificazione dell’avviso della data fissata per l’udienza, non può essere sanata da alcun altro atto equivalente e tanto più, dalla nomina di un difensore d’ufficio. All’udienza di convalida del trattenimento si applicano infatti le disposizioni di cui al sesto e settimo periodo del comma 8 dell’art. 13 che prevedono espressamente la nomina di un difensore d’ufficio solo nel caso in cui lo straniero sia privo di un difensore di fiducia.

Fonte D & G

Febbraio 2019

 

L’attuazione della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea

In tema di relazione tra normativa europea e giurisdizione dei paesi membri, la prof. Castellaneta nel suo blog ricorda che la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea ha molte potenzialità, ma gli Stati la utilizzano ancora troppo poco, malgrado sia in vigore da nove anni.

Anche i tribunali nazionali – scrive – troppo spesso, non fanno riferimento alla Carta dei diritti fondamentali e questo anche nei casi in cui debba essere applicato il diritto dell’Unione. Di qui la richiesta di maggiori attività formative per giudici e operatori del diritto al fine di rafforzarne l’utilizzo nei provvedimenti in cui il diritto dell’Unione sia applicabile. Tra i dati positivi, il crescente riferimento alla Carta nei rinvii pregiudiziali: tra il 2010 e il 2017 in 392 casi di rinvio pregiudiziale vi è stato il richiamo alla Carta.

La maggior parte dei rinvii pregiudiziali è arrivata dall’Italia, seguita dalla Germania, dal Belgio, dall’Austria, dalla Spagna e della Romania. Tuttavia, in percentuale rispetto al totale dei rinvii pregiudiziali per ogni Stato membro è la Slovacchia a detenere il primato”.

Ora, a parte il caso del rinvio pregiudiziale, ormai diventato pratica corrente anche nei Tribunali dei paesi europei, resta il dato, certamente grave, del ritardo nell’applicazione della Carta dei diritti fondamentali dell’UE. Forse anche perché spesso si considera la Carta come un’alternativa alla Carta EDU.

Ma si tratta di una opinione errata, dovuta in gran parte alla scarsa conoscenza – diffusa anche nel nostro settore professionale- della normativa UE che può essere applicata direttamente nel processo italiano a differenza del ricorso alla Corte EDU, ammissibile solo in caso di esaurimento di rimedi nella giurisdizione interna. Resta, dunque, la necessità, di diffondere la conoscenza del diritto dell’UE anche all’interno della nostra categoria. Tanto più quando si tratta di preparare una nuova generazione di giuristi in vista anche di una totale integrazione della giurisdizione interna con quella europea.

Febbraio 2019

www.marinacastellaneta.it

Nota a cura

Avv. E. Oropallo

Azione contrattuale e arricchimento senza causa

Le Sezioni Unite civili (sentenza n. 22404/18, depositata il 13 settembre) hanno risolto una questione di diritto di particolare rilevanza in ambito processuale, inerente il tema dell’ammissibilità di nuove domande nel corso del processo.

 Il casoUn professionista conveniva in giudizio un Comune per ottenere il pagamento di quanto ritenuto dovuto a titolo di corrispettivo per la progettazione di un tratto stradale (una circonvallazione).
Il Comune si difendeva eccependo, tra l’altro, la nullità delle delibere di affidamento dell’incarico.

 In ragione delle difese del Comune, il professionista, con la “prima” memoria ex art. 183, comma 6, c.p.c., proponeva, in subordine, una domanda di indennizzo per arricchimento senza causa.

Il Tribunale dichiarava peraltro l’inadempimento del Comune, condannandolo al pagamento del compenso richiesto.

In grado di appello la decisione veniva però riformata. In particolare, secondo la Corte territoriale, le delibera di incarico erano effettivamente nulle, così come nullo era da considerarsi, in via derivata, anche il contratto di prestazione d’opera professionale.

E quanto alla domanda di arricchimento senza causa (divenuta attuale proprio in ragione della dichiarata nullità contrattuale), essa veniva dichiarata inammissibile, perché considerata domanda nuova, non proponibile con la memoria ex art. 183, comma 6, n. 1, c.p.c..

Seguiva il ricorso per cassazione.

La Seconda Sezione civile della Cassazione, cui inizialmente era stata affidata la trattazione del ricorso, aveva trasmesso gli atti al Primo Presidente, per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite di questa questione di massima di particolare importanza: «Se nel giudizio promosso nei confronti di una Pubblica Amministrazione per l’adempimento di un’obbligazione contrattuale la parte possa modificare la propria domanda in una richiesta di indennizzo per arricchimento senza causa con la memoria ex art. 183, comma 6, n. 1, c.p.».

Secondo alcune pronunce, nel giudizio introdotto con domanda di adempimento contrattuale, è possibile proporre la domanda di arricchimento senza causa con “la prima difesa” successiva nel solo caso in cui la relativa esigenza sia sorta dal tenore delle avversarie deduzioni.

Secondo gli Ermellini, nella specie entrambe le domande proposte (di adempimento contrattuale e di indebito arricchimento) si riferivano indubbiamente alla medesima vicenda sostanziale dedotta in giudizio. Inoltre, dette domande erano attinenti al medesimo bene della vita, tendenzialmente inquadrabile in una pretesa di contenuto patrimoniale.

Le domande proposte dal professionista-progettista, erano altresì legate da un rapporto di connessione, non solo logica ma addirittura normativamente prevista, stante il carattere sussidiario dell’azione di arricchimento, e tale nesso giustificava ancor di più il ricorso al simultaneus processus. Secondo le Sezioni Unite la decisione della Corte territoriale era errata e per questo è stata cassata con rinvio.

Il principio di diritto espressamente formulato dagli Ermellini è così risultato essere il seguente: “E’ ammissibile la domanda di arricchimento senza causa ex art. 2041 c.c. proposta, in via subordinata, con la prima memoria ex art. 183, comma 6, c.p.c., trattandosi di domanda comunque connessa a quella inizialmente formulata”.

Febbraio 2019

Fonte D & G

 

L’avvocato distrattario non può chiedere l’IVA al soccombente

Lo ha ribadito la Cassazione con ordinanza n. 22279/18, depositata il 20 settembre.

Ricordano i Giudici di legittimità che l’avvocato distrattario può chiedere alla parte soccombente solo l’importo dovuto a titolo di onorario e spese processuali, “non anche l’importo dell’IVA che gli sarebbe dovuta, a titolo di rivalsa, dal proprio cliente, abilitato a detrarla”. Ciò in quanto in materia fiscale “costituisce principio informatore l’addebitabilità di una spesa al debitore solo se sussista il costo corrispondente e non anche qualora quest’ultimo venga normalmente recuperato, poiché non può essere considerata legittima una locupletazione da parte di un soggetto altrimenti legittimato a conseguire due volte la medesima somma di denaro”. (Cass. n. 2474/12).

Febbraio 2019

Fonte D & G

(Avv. E. Oropallo)

Il cliente che trattiene gli onorari spettanti al proprio avvocato risponde di appropriazione indebita

Così ha deciso la Corte di Cassazione con sentenza n. 20117/18, depositata l’8 maggio.

Il caso. La Corte d’Appello di Caltanissetta confermava la condanna nei confronti dell’imputato in relazione al reato di cui all’art. 646 c.p. (appropriazione indebita), per aver questi trattenuto le somme erogategli dalla compagnia assicuratrice e spettanti al proprio difensore.

Il Supremo Collegio evidenzia che, nel caso di specie, si configuri un’ipotesi di appropriazione indebita ex art. 646 c.p., così come stabilito nei precedenti gradi di giudizio.

Difatti, sottolineano i Giudici di legittimità, emerge dagli atti processuali, che la somma erogata “era stata imputata, dalla compagnia assicuratrice, al credito per la prestazione professionale del legale che aveva assistito l’imputato”.

Pertanto, correttamente la Corte distrettuale ha ravvisato nella condotta del ricorrente la configurabilità del reato di cui all’art. 646 c.p., conformemente al principio in forza del quale                             “il soggetto che abbia ricevuto una somma di denaro, appartenente a terzi, con l’obbligo di trasferirla all’avente diritto, ove non provveda alla restituzione della somma risponde del delitto di appropriazione indebita, quand’anche possa vantare ragioni di credito nei confronti del terzo”.

Febbraio 2019

Fonte: D&G

Avv. E. Oropallo

Protezione internazionale: adottata una circolare del ministero dell’interno

A proposito di decreto “sicurezza” – meglio conosciuto come decreto “Salvini” – la prof. Marina Castellaneta dell’Università di Bari ricorda sul suo blog che – sia pure in ritardo – il Governo ha adottato, il 18 dicembre, una circolare per illustrare agli uffici territoriali la corretta applicazione della legge n. 132 del 1° dicembre 2018 che ha convertito in legge, con modificazioni, il decreto legge 4 ottobre 2018 n. 113, recante disposizioni urgenti in materia di protezione internazionale e immigrazione, sicurezza pubblica, aggiungendo che “in realtà la circolare spiega poco ed è più orientata ad enfatizzare i risultati raggiunti nella nuova “strategia” in materia di immigrazione che ha portato a demolire l’istituto della protezione umanitaria e il sistema di protezione per i richiedenti asilo e rifugiati (Sprar), nonché a prolungare di molto i termini di trattenimento dello straniero. Nessuno spazio, né nella legge, né nella circolare per le misure di integrazione, con scelte contrarie alla necessità di un esame individuale a vantaggio del rafforzamento dell’utilizzo del criterio del Paese di origine sicuro”.

HONNI SOIT QUI MAL Y  PENSE!

Febbraio 2019

Fonte: www.marinacastellaneta.it

Avv. E. Oropallo

Il caso Knox innanzi alla CEDU

La Corte EDU di Strasburgo con sentenza del 24 gennaio 2019

ha recentemente condannato lo Stato Italiano a risarcire Amanda Knox per aver violato i diritti della difesa                                            (ric. n. 76577/13).

Ricorso che la Knox aveva presentato subito dopo essere stata scagionata dall’accusa di omicidio della studentessa Meredith Kercher avvenuto in un’abitazione di Perugia. In particolare, la ricorrente denunziava la violazione del principio del giusto processo ai sensi art. 6 della Convenzione europea, per la mancata presenza dell’avvocato difensore al primo interrogatorio avvenuto nella Caserma della Polizia alle due di notte del 6 novembre 2007.

Ancora, lamentava la Knox la violazione del diritto di difesa ai sensi art. 48 della Carta dei Diritti Fondamentali UE per aver utilizzato lo staff investigativo, nel corso dell’interrogatorio, un interprete che non si era limitato al solo compito di traduzione e

infine per violazione del divieto della tortura, di cui agli artt. 3 CEDU e 4, della Carta dei Diritti Fondamentali dell’UE.

La Corte ha accertato la sussistenza della violazione del principio del giusto processo e del diritto di difesa, escludendo, comunque, l’ipotesi più grave del trattamento inumano e degradante che aveva lamentato.

Di particolare interesse, il ruolo avuto dall’interprete durante l’interrogatorio che si è svolto alla presenza di tre agenti della polizia e di un dipendente della stazione di polizia che fungeva da interprete. A giudizio della Corte EDU, si è trattato di un comportamento “anomalo” in quanto l’interprete non si sarebbe limitato a tradurre ciò che diceva la Knox e le domande degli inquirenti, ma avrebbe svolto un ruolo di “mediatore” e “suggeritore” in totale violazione della Convenzione, per cui la Corte condannava lo Stato italiano a risarcire la ricorrente l’importo di € 10.400,00 a titolo di danni morali, oltre al ristoro delle spese legali liquidate in € 8.000,00.

Quello che rileva, nella sentenza, non è tanto la misura del risarcimento quanto il comportamento degli investigatori.

Se questi sono i sistemi investigativi utilizzati in un caso delicato, come quello che ha tenuto banco per diversi anni nelle cronache giudiziarie, ebbene bisogna malinconicamente riconoscere che c’è ancora molto da lavorare per rendere più efficiente il sistema e assicurare il rispetto dei diritti dell’indagato in tutte le fasi del procedimento penale.

Secondo le stime della Suprema Corte e della Corte dei Conti, si spendono milioni di euro per le intercettazioni e molto meno per la preparazione degli addetti al settore investigativo della polizia.

Non sarebbe male ricordare che anche un sospettato – fino a prova contraria – non può essere trattato come fosse già colpevole per cui anche nei suoi confronti bisogna rispettarne i   diritti previsti dalla normativa convenzionale e dalla Carta dei Diritti Fondamentali dell’UE. La vicenda knox e dell’altro coimputato è esemplare: dopo anni di indagini ed un lungo processo sono stati entrambi scagionati dall’accusa di omicidio.

Questa volta, come in tante altre vicende, essenziale è stato il ruolo della difesa che ha saputo ribaltare quello che le cronache giudiziarie avevano etichettato come un delitto senza storia.

Febbraio 2019

(Avv. E. Oropallo)

La valutazione degli spazi carcerari in relazione ai principi della Convenzione EDU

In tema di compatibilità degli spazi carcerari con i principi espressi dall’art. 3 della CEDU, una superficie calpestabile di tre metri quadrati per ogni detenuto in una cella collettiva rappresenta la soglia minima pertinente ai fini della valutazione delle condizioni carcerarie, in caso di sovraffollamento grave.

Così ha stabilito la Corte di Cassazione, Sez. VI Penale, sentenza n. 1562/19; depositata il 14 gennaio.

Quanto all’individuazione dei criteri e delle modalità di computo dello spazio minimo individuale, secondo un orientamento sostanzialmente unanime di legittimità, i tre metri quadrati – al di sotto dei quali, se non emergono i diversi e significativi aspetti “compensativi” di cui si è detto, deve ritenersi la violazione dell’art. 3 CEDU – vanno intesi come “spazio utile al fine di garantire il movimento del soggetto recluso nello spazio detentivo”, il che esclude di poter inglobare nel calcolo dello stesso lo spazio occupato dai servizi igienici, destinati a funzioni diverse da quelle correlate al movimento e, in ragione dell’ingombro che ne deriva, quelle strutture tendenzialmente fisse, come ad esempio il letto a castello, che costituiscono un sicuro impedimento al movimento del detenuto (ex multis, Sez. 1, n. 41211 del 26/05/2017).

Il riferimento dei tre metri quadrati è relativo quindi alla superficie calpestabile e che per spazio minimo in cella collettiva va inteso lo spazio in cui il soggetto detenuto abbia la possibilità di muoversi (Grande Camera, 20 ottobre 2016, Mursic c. Croazia).

Dove la superficie così calcolata scenda al di sotto dei tre metri quadrati, ciò non integra di per sé la violazione del parametro convenzionale bensì la “strong presumption” di trattamento contrario ai contenuti dell’art. 3 CEDU a determinate condizioni bilanciabile (tra tante, Sez. 1, n. 39294 del 03/07/2017).

La Grande Camera del 15 dicembre 2016 ha ribadito che uno spazio personale inferiore a 3 mq. in una cella collettiva fa sorgere una “presunzione, forte ma non inconfutabile, di violazione” dell’art. 3 CEDU che “la presunzione in questione può essere confutata in particolare dagli effetti complessivi degli altri aspetti delle condizioni di detenzione, tali da compensare in maniera adeguata la mancanza di spazio personale“, quali cumulativamente “la durata e l’ampiezza della restrizione, il grado di libertà di circolazione e l’offerta di attività all’esterno della cella, nonché del carattere generalmente decente o meno delle condizioni di detenzione nell’istituto“.

Questa la sentenza emessa dalla Suprema Corte. Come è stato spesso ribadito dalla CEDU e confermato dalla Cassazione, la privazione della libertà è la pena comminata che lascia integri – pur nella condizione di recluso – i diritti personalissimi del detenuto che non possono subire coercizione alcuna. Ci vien da ricordare il carattere non punitivo della pena e il diritto del detenuto alla vita, alle cure mediche, al benessere fisico e mentale.

Davvero ci si trova senza fiato quando la giurisprudenza afferma che è sufficiente per il recluso uno spazio minimo calpestabile non inferiore a tre metri.

Insomma, per un continente che vuole essere un faro di civiltà, per gli altri popoli della terra, è davvero penoso che si possano ritenere accettabili le condizioni della reclusione con uno spazio così ristretto.

Fonte
D & G

Gennaio 2019

Nota a cura avv. E. Oropallo

Violenze del padre sulla figlia: colpevole anche la madre “negazionista”

Il marito ha abusato della loro figlia, e lei, la moglie, ha tenuto una linea negazionista, finalizzata a salvaguardare la falsa serenità familiare. Legittimo, sanciscono i giudici, ritenere anch’ella colpevole di violenza sessuale (Cassazione, sentenza n. 1650/19, sez. III Penale).

A rendere ancora più grave la posizione della donna, poi, il fatto che ella abbia “insultato e schernito la ragazza, costringendola – con la complicità del coniuge – a ritrattare quanto da lei raccontato” a proposito degli abusi subiti. Non a caso, la ragazza “ha ritrattato la sua tragica confessione non perché segretamente costretta dal padre, ma perché sollecitata e pressata da entrambi i genitori, tra loro saldamente alleati contro la verità emergente dal racconto della figlia”.

Fonte D & G

Gennaio 2019

 

Rigetto dell’istanza di differimento dell’udienza perché inoltrata tramite PEC

Laddove il difensore non possa presenziare il procedimento di appello avverso i provvedimenti de libertate, l’istanza di differimento si palesa irrituale se inoltrata tramite PEC giacché, nel procedimento penale, l’utilizzo di tale mezzo non è consentito alle parti private per effettuare comunicazioni o notificazioni”.

Così ha stabilito la Corte di Cassazione, Sez. VI Penale, nella sentenza n. 2034/19, depositata il 16 gennaio.

La S.C., circa l’utilizzo del mezzo PEC, ricorda che la notifica a mezzo telematico è “equipollente alle forme dell’ordinario regime delle notificazioni” giacché è un mezzo ritenuto alternativo alle comunicazioni: in tal senso anche le notificazioni e gli avvisi ai difensori disposti dalle autorità giudiziarie.

E’ consentito l’utilizzo del mezzo PEC nel procedimento penale “solo per le notificazioni per via telematica da parte delle cancellerie a persona diversa dall’imputato” per cui la Corte ritiene “giuridicamente inesistente” l’istanza di differimento trasmessa dalla difesa del ricorrente tramite mezzo PEC.

A nostro avviso, con l’avvento del processo telematico e della conseguente ritualità – come afferma la Corte – della notifica in forma telematica degli atti al difensore dell’imputato – ci sembra incredibile, al contrario, che si ritenga inesistente la notifica dell’istanza di differimento inviato dal difensore alla Cancelleria penale in via telematica. Certamente questa sentenza non ci aiuta a capire le ragioni di questa discriminazione.

Fonte D & G

Gennaio 2019

Nota a cura avv. E. Oropallo